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Cristin: «Sampdoria, ti manca uno che la butti dentro!»

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Con tutte le botte che ha preso quando giocava, ha ancora male alle ginocchia, ma continua a seguire il calcio Ermanno Cristin, detto il Bisontino, che ha disputato 207 partite con la maglia della Sampdoria. E a proposito della squadra blucerchiata spiega a Il Secolo XIX: «Cosa manca? Uno che la butta dentro. Non hanno un finalizzatore, serve qualcuno che faccia gol». L’ex centravanti, originario di Udine, domenica tiferà Sampdoria: «Quasi tutte le domeniche vado in un club qui vicino a vedere l’Udinese. Ma domenica tengo per la Sampdoria, quegli anni non li dimentico. L’Udinese la seguo e sono contento se vince. A meno che non giochi contro la Sampdoria. E la Sampdoria penso che possa vincere. Anche se l’Udinese è in forma e contro il Napoli ha fatto tre gol e ha vinto meritatamente. Sì, a pensarci bene, potrei anche essere soddisfatto di un pareggio».

 

E per Cristin è strano che la Sampdoria abbia problemi col gol, visto che le retroguardie non difendono come un tempo: «Il gioco era diverso, tutta un’altra cosa. Adesso guardo questi attaccanti che fanno un sacco di gol. Ma mi scappa sempre un “Dio bono, non li marca nessuno!”. Se io giocassi ora mi farei tirare la palla oltre la difesa e sarei sempre davanti alla porta. Poi magari sbaglio… Invece se per caso superavo Morini o Guarneri, che mi stavano attaccati al sedere per tutto il tempo della partita, poi c’era pure il libero. Erano delle battaglie. Me ne facevano di tutti i colori ma anche loro con me non passavano delle belle domeniche».

 

L’ex attaccante della Sampdoria rivela poi un retroscena sugli allenamenti con Bernardini: «Ricordo che in allenamento mi faceva giocare con due supporti sotto le ascelle. Sì, così avrei imparato a giocare con i gomiti alti e darli nei denti allo stopper. Ho capito come farmi rispettare. Ma Bernardini era uno di poche parole. Un altro ricordo che ho è quando arrivai a Genova. Gli chiesi “dottore, cosa devo fare?”. E lui: “Ragazzo, in che ruolo giochi?”. “Davanti”. “Bene, allora devi fare gol”. La sua era un’idea di calcio molto semplice. A noi attaccanti diceva che il tiro giusto è quello che entra in porta, gli altri sono tutti sbagliati, anche se prendevi il palo o se il portiere faceva un miracolo. Eravamo un bel gruppo».

 

Il breve viaggio nel passato permette a Cristin di evidenziare le differenze tra il calcio di un tempo e quello attuale: «Secondo me c’è nostalgia di una cosa più umana. Adesso forse i giocatori sono più distanti, prendono troppi soldi, sono esagerati. È tutto esagerato, se uno come Higuain fa una sceneggiata del genere. Uno che ha fatto 30 gol, un giocatore così, che brutto vedere. Noi all’arbitro parlavamo con le mani dietro alla schiena. Ma non c’era niente di tutto questo. Io non ho mai discusso con un presidente per il contratto. Non c’era procuratore, era il contrario di quel che si fa adesso. Io chiedevo al presidente quanto mi poteva dare ed ero contento di quello che mi dava. Quando sono arrivato a Genova mi hanno sistemato in una pensione in via Fieschi. Prendevo 20 mila lire al mese. Erano due biglietti enormi da dieci mila. Li andavo a prendere in sede, in via XX Settembre, li piegavo finché non diventavano grandi come una figurina, li nascondevo sotto le scarpe per paura che me li rubassero. Poi tornavo alla pensione e chiedevo alla padrona di spedirli ai miei genitori. Io ero contento così, facevo quello che mi piaceva, ero un giocatore di SerieA e avevo smesso di raccogliere le pannocchie e il letame nelle stalle». 

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