Flachi: «La Serie A di oggi? Ci starei alla grande. Genova: l'amante più bella» - Samp News 24
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Flachi: «La Serie A di oggi? Ci starei alla grande. Genova: l’amante più bella»

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Francesco Flachi è ancora oggi un giocatore estremamente amato a Genova dalla tifoseria blucerchiata che ha visto con lui grandi trionfi e stagioni meravigliose, come la cavalcata dei tre derby vinti che poi ha consegnato alla Sampdoria la Serie A. Adesso serve ai tavoli del suo locale di Firenze, il “Panino di categoria” dove parla con tutti e spesso viene visitato da tifosi blucerchiati in città per turismo. 

 

«Da Genova, dove sono stato da Dio nelle mie stagioni alla Sampdoria, ancora arrivano ogni fine settimana a salutarmi. Servire ai tavoli nel mio locale? È questo il bello. E questo è stato il mio modo di vivere, da calciatore e no: sono sempre stato in mezzo alla gente di qualsiasi estrazione sociale. Non mi sono mai nascosto e non ho mai fatto distinzioni. I problemi se li facevano gli altri nei miei confronti, immaginando che mi dessi delle arie o fossi inavvicinabile. No, io sono una persona normale cresciuta in mezzo a gente normale. Stare in mezzo a studenti e pensionati mi mette allegria, anche se ogni tanto mi fermo a ricordare e mi piomba addosso un velo di tristezza e malinconia, al pensiero che avrei potuto smettere più tardi rispetto a quanto sono stato costretto a fare. Quando vedo giocare certa gente in A, mi dico: Francesco, tu in mezzo a questi ci staresti ancora adesso alla grande. Ma proprio alla grande» afferma sulle pagine di SportWeek.

 

La sua carriera è stata stroncata da due sentenze ma avrebbe potuto giocare ancora molti anni, come lui stesso afferma: «Avrei smesso più avanti se non fosse successo quello che è successo. Sono stato un bischero, lo pensavo allora e lo penso oggi. Ma non bisogna guardare troppo al passato, se no non si riesce mai a costruire qualcosa che abbia un futuro. Poi, dico sempre che l’importante è non ammazzare e non rubare: io sono stato trattato come un criminale, la prima volta mi hanno dato 2 anni, la seconda 12, ma con la cocaina ho fatto male soltanto a me stesso. Ho davanti ancora sei anni di squalifica, e la cosa più grande, considerando che alla mia età non posso più avere velleità come calciatore, è che allo stadio non mi fanno entrare neanche da spettatore. Non sono stato uno stinco di santo, ho sbagliato, ma non poter vedere una partita dal vivo perché il mio nome risulta tra gli indesiderati, no dopo sei anni no. Non posso avere un biglietto nominativo, mi riconoscono e mi fanno entrare in curva. Ho una scuola calcio, alleno una squadra di Terza Categoria, il Bagni a Ripoli, e non posso stare in panchina. Sono ai margini del calcio che è stata la mia vita per tanto tempo. Altri, che hanno fatto porcherie ben più gravi comprando e vendendo partite, sono stati puniti con mano più leggera. Io non ho rubato, non ho mai scommesso, anche se nel 2006 mi squalificarono per due mesi perché avrei chiesto informazioni su una partita in una telefonata di cui non c’era traccia nel rinvio a giudizio. Non ho imbrogliato altri che me stesso. Cosa è più grave, una squalifica per doping o per aver alterato il risultato di una gara? Spero che qualcuno si passi una mano sulla coscienza».

 

«Non posso neanche prendere il patentino. La squalifica mi scade nel 2021 può darsi che per allora mi sarà passata la voglia. Mi manca lo spogliatoio, questo sì. Perché la cocaina? non credete alle fregnacce sulla coca che da euforia, fa passare la stanchezza, aumenta la libido a me era appena nato il bambino, che vuoi che facessi? Il perché non lo so nemmeno io. Il problema è che ho un carattere che non ama le mezze misure o faccio una cosa o non la faccio. E vado per istinto. In quel momento volevo farlo, sono stato debole, forse avevo un disagio interiore, ma non cerco alibi. Ho provato, ho sbagliato. Ma non ho alterato le mie prestazioni sportive, l’ho assunta solo per uso personale. E in ogni caso non mi cambierei con nessuno».

 

Qualche rammarico per il passato c’è, soprattutto essere stato abbandonato da persone che prima si facevano chiamare amici, ma che nel momento del bisogno sono scomparsi tutti: «Io sono una persona educata, uno che ha sempre offerto rispetto prima ancora di pretenderlo. Se parli con i miei ex compagni, dovunque sia stato non troverai nessuno che possa dire male di me come persona. Però nel calcio è difficile trovare amici veri, quello c’ha la moglie più bella e la tua ti chiede la stessa borsa della moglie di quell’altro e quell’altro ancora ha la macchina più figa… Anche fuori dal calcio, nel momento del bisogno, di amici ne ho visti pochi. Prendevo 20-30 biglietti per volta, li portavo a cena fuori, quello che dicevano di essere amici, sì, amici del calciatore…io penso che gli amici siano in famiglia. Sono loro che mi hanno riaperto la porta di casa».

 

La vita da calciatore è il passato, un passato dove Genova è stata amante, casa, città di soddisfazioni per Francesco: «È vero una volta ho detto “sarebbe stato meglio essere normale”, perché capita di non aver voglia di avere gli occhi di tutti puntati addosso. Ma a me la vita da calciatore è piaciuta, forse perché l’ho affrontata vivendo alla giornata. A Genova, soprattutto. A Firenze ero troppo giovane, avevo intorno grandi campioni e non ho avuto tempo di crescere. Nasco qui e sono tifoso della Fiorentina: sognavo di indossare la maglia viola per tutta la carriera, ma giocando con Batistuta, Edmundo, Olivera era difficile. Diciamo che la fiorentina è stata una moglie. A Genova ho trovato l’amante più bella, il legame con la città va oltre il calcio. Tra me e la Samp c’è stato il rapporto che Totti ha con la Roma. Ho smesso di giocare a 32 anni, con la Samp ho segnato 112 gol tra campionato e Coppa Italia, io penso che Vialli l’avrei preso , a 132, e Mancini ce l’avevo a 172… Quando torno a Genova è come se non fosse passato un giorno, altro che sette anni: cori, abbracci, non mi fanno mai pagare nei locali… Se non fosse finita in modo così traumatico, sarei rimasto a vivere lì. I miei figli sono nati lì. Non mi mancava niente. Benedetta ha 14 anni e Tommaso 9, non mi hanno mai fatto domande. Tanto ora c’è Internet, la mia storia la troveranno lì. A me importa fare il padre quando conta. I gol più belli? Facile dire quelli in rovesciata ma per me sono stati tutti belli allo stesso modo. Però in rovesciata ne ho fatti 6, o forse 4, in un solo campionato trovatemene uno capace di fare altrettanto. E non chiedetemi se ora c’è qualcuno che mi somiglia perché rispondo: speriamo di no».

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