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Editoriale

Di Giampaolo in Giampaolo: fenomenologia del Torreira

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Lucas Torreira. Già soltanto così potrei aver detto tutto, perché ciò che ogni domenica vedo in campo, in cabina di regia, lo può vedere chiunque: apprezzare il talento del giocatore uruguaiano è facile e immediato, tanto sono limpide la sua qualità e la sua tecnica. Però ci sono alcuni aspetti che vanno presi in considerazione in questo sviluppo incredibilmente forte di un giocatore che, come dice Luis Muriel, si dovrebbe capire se ha 20 anni o se sono 20 anni che gioca in Serie A. Per farlo, per studiare la fenomenologia di Lucas Torreira, dobbiamo fare qualche passo indietro, di un paio d’anni, così da poter non solo apprezzare il suo percorso, ma anche per innalzarlo ad archetipo di come i giovani sudamericani dovrebbero formarsi nel nostro campionato.

Lucas Torreira arriva al Pescara grazie la sapiente decisione di Victor Mesa, azionista di minoranza del Pescara, del quale detiene il 10% delle quote, stretto collaboratore di Sebastiani per quanto riguarda la rete di scouting in Sud America e, non meno importante, proprietario dei Wanderes di Montevideo, squadra dalla quale veniva Torreira. Con Mesa c’è anche Roberto Druda, responsabile dello scouting del Pescara e uomo di fiducia di Mesa. Il trasferimento, che inizialmente avviene con cinque altri giocatori provenienti dalle stesse giovanili, porta il classe ’96 dritto nella Primavera del Delfino: qui, dove è l’unico a essere poi tesserato, gioca un anno, nel ruolo di trequartista, allenato da Federico Giampaolo, il fratello dell’attuale tecnico della Sampdoria. Sebbene nella sua carriera l’allenatore che più si è distinto per la sua crescita è stato Massimo Oddo, lo svezzamento compiuto dal più giovane dei due Giampaolo è indubbiamente importante e mette in risalto una strategia non da sottovalutare attuata dal Pescara. Torreira, infatti, così come pochi altri suoi corregionali, ha visto culminare il proprio periodo di maturazione in Italia, imparando sin da giovanissimo quelli che erano i meccanismi del nostro calcio, senza dover avere la necessità di ambientarsi, se non nella quotidianità delle azioni nostrane. Un po’ come accaduto anche a Jorginho, che all’età di 15 anni, per un pugno di monete, arrivò a Verona lasciando il suo Paese e la sua città, senza il tempo di formarsi come calciatore sudamericano e pronto a naturalizzarsi italiano, non solo sul passaporto, ma nei piedi. Torreira ha dalla sua questo percorso che equivale a un vantaggio non indifferente per chi, come lui, arrivava già con delle caratteristiche superiori alla media. Reinterpretati i suoi fondamentali, quindi, il centrocampista ’96 ha dovuto solo rivedere il proprio ruolo in campo: arriva da trequartista, quasi seconda punta, e Giampaolo lo fa giocare come tale, senza stravolgere ulteriormente quelli che sono i dettami datigli da chi gli ha consegnato tra le mani un centrocampista uruguaiano giovanissimo. Torreira, insomma, diventa un giocatore compiuto in Italia, senza dover trovare l’affermazione in Sud America e poi stravolgere i propri piani una volta arrivato nel nostro Paese: non è un Joaquin Correa, per intenderci, ma un giocatore al quale, a 17 anni, già si chiedeva di parlare in italiano, sia con la lingua che con i piedi.

Dopo sei mesi in Primavera con Federico Giampaolo, che lo accoglie nel dicembre del 2013 e lo fa giocare seconda punta nel 3-5-2 biancazzurro, Torreira fa la conoscenza di Massimo Oddo, chiamato per sostituire il tecnico andato al Valle d’Aosta: il Campione del Mondo 2006 decide di arretrare subito il raggio d’azione del giocatore, portandolo a centrocampo, in cabina di regia. Una scelta che, a lungo andare, condivido e che apprezzo, perché fatta quando Torreira ancora non si era formato e fossilizzato nel suo ruolo di fantasista, nel quale tra l’altro segnava poco. Oddo lo presta a Baroni, all’epoca allenatore della prima squadra, per l’esordio in Serie B, poi, quando il tecnico abruzzese viene promosso alla guida dei più grandi, lo porta con sé per renderlo il giocatore che la Sampdoria, nel luglio del 2015, deciderà di acquistare e lasciare un altro anno in B. Un’altra decisione strategica, perché la cadetteria ha permesso a Torreira, per un anno intero, di formarsi fisicamente. Per quanto la sua statura resti minuta, per quanto la sua altezza e i suoi chili siano di numeri incredibilmente bassi (poco meno di un metro e settanta di altezza, poco più di sessanta chili di peso), la Serie B fa capire all’uruguaiano che non importa la statura, bensì la grinta: lotta su ogni pallone, aggredisce sempre l’avversario, fa sentire il fiato sul collo al portatore di palla, come se in fase di non possesso si trasformasse in un mediano che divora le caviglie. Un aspetto che si forma in B, dove il calcio è più fisico e più di carattere, ma che unite alle qualità del giocatore sfociano in un compendio di perfezione nella massima categoria: un mastino in difesa, un abile regista in attacco. La statura, poi, lo aiuta anche nei cambi di direzione repentini, con un baricentro molto basso che gli concede di avere anche un senso dell’equilibrio molto più alto di tanti altri giocatori: assorbe l’impatto, ruba la palla, cambia direzione, riparte e lancia l’attaccante in rete. Torreira ha sì 20 anni, quest’anno si è fatto scoprire dall’Italia, ma pur non giocando da vent’anni in Serie A si può dire che è un figlio del calcio italiano, perché a Pescara ci arriva a 17 anni, quando del Sud America calcistico ti è rimasta solo la lingua. Poi di Giampaolo in Giampaolo il passaggio è breve e il nostro Marco, come dimostrato con Paredes l’anno scorso, di registi se ne intende. Paredes alla Roma, però, si è lasciato trascinare in un vortice che non gli ha dato il giusto spazio per continuare la sua formazione: magari Torreira se ne renderà conto e così come accettò la B l’anno scorso, potrebbe accettare un altro anno al Doria. Poi chissà: il divertimento porta altro divertimento.

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