Laigle e quel triennio Samp: «La retrocessione del 1999? Problema di ambizioni» - Samp News 24
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2015

Laigle e quel triennio Samp: «La retrocessione del 1999? Problema di ambizioni»

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Tre anni – dal 1996 al 1999 – a Genova, sulla sponda blucerchiata che l’ha ben accolto e ha imparato ad apprezzarlo. Pierre Laigle ha vissuto la realtà sampdoriana e ha giocato poi in patria. Lens, Lione, Montpellier e una squadra di quarta serie, poi lo stop al calcio: «La mia è stata una scelta di libertà. Volevo esser libero di andare a vedere mio figlio Tom, che ora 16 anni e non se la cava male, anche se è in una piccola squadra, volevo avere del tempo da dedicare alla mia famiglia, cioè mia moglie e mia figlia Cloe. Se fai l’allenatore devi stare sul campo quanto un giocatore, ma con la testa sei sempre lì. C’è solo quello».

RICORDI/1 – Nell’intervista concessa a “Il Secolo XIX” di cui vi riportiamo alcuni passaggi, Laigle ha raccontato la sua esperienza alla Samp: «L’esperienza alla Sampdoria è stata bella, fondamentale. Mi ha cambiato. Non ero mai stato via da Lens, era la prima volta. Eriksson mi parlava un italiano semplice. Mi ambientai subito, i compagni mi accolsero bene. Arrivammo sesti, Mihajlovic era un grande giocatore sul campo, forte personalità, ma non immaginavo allora che sarebbe diventato un ottimo allenatore. Il leader era Mancini, poi Sinisa e Veron, anche se aveva solo 21 anni. E Mannini o Franceschetti. Peccato, saremmo potuti arrivare secondi o terzi: facemmo un ottimo girone d’andata, poi calammo».

RICORDI/2 – Il 1997-98 fu molto più difficile, come conferma il francese: «Arrivò Menotti e cambiò tutto. In estate facevamo solo tecnica e pallone, nessun lavoro fisico. Tornò Boskov, facemmo meglio, ma le basi atletiche erano quelle». Nel 1999 arrivò la retrocessione: «Il terzo anno fu un casino: Spalletti, poi Platt, poi di nuovo Spalletti. Ma quanto un allenatore torna dopo esser stato mandato ivia, come si fa a lavorare? Finimmo retrocessi e me la ricordo l’ultima partita (Bologna-Samp, ndr), ma la squadra era stata indebolita. Ogni anno andavano via i migliori. Non credo fosse un problema d’inesperienza: Enrico Mantovani aveva visto lavorare il papà. Credo sia stato un problema di ambizioni. Io sarei rimasto anche in B, a Genova sono stato bene».

IL CUORE A GENOVA – Il passaggio a Lione gli ha permesso di arricchire il suo palmarés, con una Coppa di Lega e un titolo in Ligue 1. Tuttavia, il pensiero rimane alla Samp: «La seguo, guardo le partite. Giocano bene, peccato che abbiano perso Gabbiadini. Molto dipenderà ora da Eto’o. Non credo possano arrivare in Champions, ma un quarto-quinto posto è alla portata, comunque davanti al Genoa». Sul ricordo più bello: «La vittoria a San Siro alla seconda di campionato, dopo aver perso all’esordio. Battemmo anche l’Inter in trasferta. E l’anno dopo segnai tre gol in due partite al Napoli».

DELUSIONE – L’unico buco nero della sua carriera è la convocazione sfiorata a Francia ’98, mancata all’ultimo momento e che ha lasciato un piccolo rimpianto nell’ex blucerchiato: «Feci molte partite di preparazione. Poi alla fine Jacquet portò giocatori reduci da infortuni e lasciò a casa me. Fu il momento più difficile della mia carriera: il Mondiale, in casa, vinto… ma il calcio è così, c’è il bello e il meno bello. Jacquet l’ho rivisto qualche volta alle partite del vecchio gruppo di Blues. Ma no, non ci siamo mai detti niente di questa scelta».

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