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2015

Né scuse né alibi: il Doria non ha saputo scegliere

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Non vuole cercare scuse né alibi la Sampdoria di Walter Zenga, perché vuole prendersi tutte le responsabilità del 4 a 0 contro il Vojvodina. Uno sfracello, un disastro, una rovinosa valanga che precipita giù per la montagna e che raccoglie il peggior record della storia delle competizioni europee. Sì perché la sconfitta dell’Olimpico è questa: è il peggior risultato di sempre, è già storia. Una storia figlia di scelte sbagliate, perché è da lì che parte tutto.

La scelta di affidarsi a Nenad Krsticic come esterno d’attacco, una decisione autobocciata dopo appena cinque minuti, con il serbo arretrato a centrocampo per lasciare la coppia d’attacco da sola. Schierare un giocatore che, con tutti i limiti tecnici del caso, l’anno scorso in Serie B non ha saputo incidere richiede coraggio, forse eccessiva tracotanza: vuoi per gli infortuni, vuoi per gli acciacchi, nemmeno nel campionato cadetto Krsticic ha saputo emergere. Vive ancora di rendita alla Sampdoria, di rendita per esser stato sempre attaccato alla maglia e per essersi immolato nel famoso derby di Matuzalem, col quale poi ha condiviso la maglia l’anno scorso. Persino Nenad c’è passato sopra quell’episodio, forse è ora che anche i tifosi lo facciano: l’essere umano è una cosa, il calciatore è un’altra, spesso si fondono, ma l’azzardo di ieri sera è costato sicuramente il primo tempo.

La scelta di Angelo Palombo difensore centrale, un ruolo che, sì, il capitano ha già ricoperto, ma al quale non si può affidare un ruolo così fondamentale, non in una partita contro una squadra col coltello tra i denti. I difensori centrali a Zenga non mancavano – Salamon e Coda – ma Coach Z ha preferito adattare il numero 17, che non era nemmeno tra i probabili a centrocampo. Un’altra scelta scellerata, perché il 3 a 0 passa da lui, che china la testa sul lancio per il 51 avversario, il 2 a 0 passa da lui, perché sbaglia ancora sul 51 del Vojvodina, la traversa passa da lui, perché sbaglia la diagonale. Gli errori sono tanti, magari li avrebbe compiuti anche Salamon o forse Coda, ma allora perché presentarsi al Preliminare di Europa League con una rosa così corta? E non appendiamoci all’abili di Moisander infortunato, perché l’abbiamo detto: non vogliamo alibi né scuse.

E poi il Doria ha compiuto l’errore che solitamente fanno le squadre italiane prima di un Preliminare e che già i blucerchiati hanno compiuto a suo tempo: presentarsi al primo appuntamento stagionale incompleti e, in caso di passaggio del turno, magari impegnarsi per completare la rosa. All’epoca fu Zauri, che lasciò la Samp esclusivamente nel periodo del Werder Brema, quest’anno era l’intera rosa, cortissima. La necessità di liberarsi di Duncan così presto non è stata una scelta azzeccata, ancor più se il Sassuolo, non partecipando a nessuna coppa europea, se ne sarebbe fregato dell’inserimento in una lista Uefa dell’ex Inter. E, perdonate la bestemmia – perché lo è -, la cessione di Okaka era necessaria tre giorni prima del Preliminare? Comprometti la possibilità di giocare le Coppe con l’Anderlecht, è vero, ma per una volta il Doria avrebbe potuto pensare a se stesso, poi agli altri: Stefano, probabilmente, nel secondo tempo la squadra l’avrebbe tenuta un po’ su. Ve lo dice uno che Okaka non l’ha mai amato, ma che all’evenienza s’arrende. 

La gara di ieri sera può regalare solo tanta tristezza, come quella che penso abbia pervaso Carlo Osti, Massimo Ferrero e Antonio Romei, che a mezzanotte si sono lasciati vedere seduti, sulle gradinate esterne dell’Olimpico, con le mani incrociate, a fissare il vuoto. A domandarsi, sotto la pioggia che sfoca gli orizzonti, dove hanno sbagliato. Gocce di pioggia serba, gocce del destino, che in questi giorni piaceva tanto chiamare in causa, per Mihajlovic, per Boskov. Chissà cosa avrebbe pensato dopo questa partita, chissà cosa avrebbe mai potuto dire del 4 a 0 della sua Sampdoria contro il suo Vojvodina: sicuramente avrebbe apprezzato il fatto che questa gara – lo ribadiamo – abbia fatto la storia. 

Chiudo con un aneddoto. Quando vivevo ancora con i miei genitori, diversi anni fa, mia madre un giorno mi fece notare che il mio trench era incredibilmente consumato, che avrei dovuto cambiarlo e comprarne uno nuovo. Ero affezionato a quel trench, mi impuntai che non ne volevo un altro e che se me l’avesse comprato io avrei continuato a usare quello vecchio piuttosto che quello nuovo. Mia madre, però, che mi manteneva in quel periodo, perché non avevo nemmeno raggiunto la maggiore età – si può dire che ero quasi un suo dipendente, non per lo stipendio, ma perché realmente dipendevo da lei – quel trench poi me lo fece comprare. Il primo giorno ci dormii male, perché non volevo, ero una testa dura: poi però due giorni dopo lo indossai, su costrizione, e mi piacque. Quel trench l’ho portato con me quando ho lasciato casa dei miei, quando ho dovuto affrontare una vita tutta mia. E pensare che forse sarei andato nudo per strada in inverno pur non di comprarlo.

Zenga, il trench ti serviva. Da’ retta al campo.

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