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Aimo Diana: «Alla Samp gli anni più belli. Tornerei domani»

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Chissà se ogni tanto ci ripensa alla sfortuna che si è abbattuta su di lui nel momento migliore. Chissà se ogni tanto Aimo Diana non maledice quella pubalgia che gli impedì di prendere parte alla spedizione di Berlino 2006. Forse era destino che alla storia passasse l’immagine con l’esultanza incredula di Fabio Grosso e non del blucerchiato che nel 2005/2006 giocò il suo miglior campionato, proprio con la maglia della Sampdoria. Aimo Diana, un esterno vecchia maniera come oggi non ne fanno più, oggi è allenatore della Feralpisalò: primo incarico tra i professionisti dopo la gavetta nelle giovanili della società in provincia di Brescia. «Sono molto contento e soddisfatto. Ora siamo nella fase finale del campionato e ci stiamo giocando l’accesso ai playoff ed è una bella soddisfazione al primo anno poter lottare per qualcosa di importante in una società seria come la nostra».

Hai un modello di riferimento particolare come allenatore o stai cercando di crearti una tua identità?
«È chiaro che un allenatore cerca di avere una sua unicità, portare avanti una sua idea. Ma è impensabile non prendere qulcosa dai tanti allenatori che ho avuto, come Novellino alla Sampdoria. Ogni allenatore mi ha insegnato qualcosa e ne faccio biuon uso, poi è chiaro che cerchi di creare qualcosa di mio».

Oggi gli allenatori giovani, se sono stati poi buoni giocatori, spesso vengono lanciati allo sbaraglio pur con un bagaglio di esperienza ridotto. Però non sempre i buoni giocatori si rivelano altrettanto buoni come allenatori…
«Sono d’accordo, se non fosse così oggi tutti gli ex giocatori sarebbero allenatori. Un po’ bisogna essere portati, un po’ bisogna aver voglia di imparare. E forse anche da giocatori si deve essere appreso qualcosa di più. Ci vogliono idee, carisma, personalità, qualità che non tutti possono avere. Io sto imparando e se sarà la mia strada spero di poter andare avanti».

Correggimi se sbaglio: prima di dedicarti alla carriera da allenatore avevi anche iniziato a giocare a beach soccer, giusto?
«Sì, ma era più una cosa per divertirsi in estate con altri ex giocatori, non un impegno a tempo pieno. Appena smesso di giocare a giugno, ad agosto avevo iniziato ad allenare i Giovanissimi Nazionali, poi sono passato ai ragazzi di 18 anni, la Primavera, e poi quest’anno mi è stata data la possibilità con la prima squadra».

Tutta la trafila nella stessa società: è motivo d’orgoglio, immagino…
«Sì, credo che il settore giovanile sia un’ottima palestra perché ti dà modo anche di sbagliare. Quando si arriva in Lega Pro, lo conferma il fatto che le panchine saltino ogni giorno, il margine di errore è veramente basso. Il settore giovanile per quanto mi riguarda è stato veramente fondamentale».

Che voto ti dai in questa prima stagione?
«(Ride) Ah non lo so, sicuramente la sufficienza piena! L’obiettivo più alto è quello di raggiungere i playoff, se dovessimo centrarlo sarebbe una stagione da 10. Se non dovessimo farcela magari un po’ meno, ma credo per me sia stato un anno importante».

Passando alla Sampdoria: l’ultima volta che la Sampdoria ha battuto la Fiorentina al Franchi c’eri ancora tu in campo…
«Diciamo che la Fiorentina è sempre stata una signora squadra, quando non è arrivata tra le prime cinque era comunque lì vicina, e poi giocare a Firenze non è mai facile, soprattutto quest’anno. Non tanto per la Fiorentina ma proprio per la Sampdoria: quest’anno sta affrontando una stagione difficile con il cambio in panchina, un ottimo allenatore ma che forse non è l’uomo giusto per prendere una squadra in corsa ma che ha bisogno di prendere la squadra fin dal ritiro. Se la Sampdoria si salva e riparte Montella può fare un grandissimo lavoro. La stagione è difficile: prima bisogna salvarsi e poi fare tutti i ragionamenti del caso. Ma non si può discutere Montella per quello che ha fatto in questi mesi, sarebbe stata una situazione difficile per chiunque. La Sampdoria in questo momento ha anche un certo tipo di aspettative, quindi lottare per non retrocedere può sembrare un fallimento però la realtà è questa».

Ecco a proposito di aspettative: avevi previsto una stagione così?
«No, anche perché dopo le problematiche iniziali mi era sembrato avesse trovato una certa continuità, un campionato tranquillo, un campionato dove satrebbe stata già salva. Invece il calcio è bello anche per questo e si sa che quando si cambia allenatore si possono affrontare certe difficoltà. Poi la Sampdoria ha perso Eder a gennaio e non possiamo nasconderci: ha perso un giocatore che faceva la differenza».

D’altra parte però è arrivato Quagliarella che forse per il gioco di Montella è più funzionale, o no?
«Certo, poi Quagliarella è un attaccante navigato, di grande esperienza. Sono convinto che alla fine i suoi gol saranno importanti per la salvezza. Ha il gol nel sangue e i numeri. Eder è andato all’Inter, non è andato in una squadretta, questo certifica il suo valore. Però io credo proprio che la Sampdoria non avrà problemi a salvarsi, anche magari cercando il colpo a Firenze».

In chiusura, due domande al volo: il ricordo più bello del tuo triennio a Genova? Ti piacerebbe tornare in veste di allenatore?
«Sulla seconda non serve nemmeno che lo dica: verrei di corsa, anche domani mattina, però mi sa che ce ne vorrà di tempo! A Genova sono stato molto bene, ricordare un momento è diffiile, ma non posso dimenticare di aver esordito con la Nazionale contro la Spagna proprio a Genova giocando con la Sampdoria: è stato il momento più importante per me al di là di tante altre cose. L’unica cosa che mi è un po’ dispiaciuta è di non aver raggiunto la Champions League con Novellino per un solo punto, non mi è più capitato in carriera».

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