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Arnuzzo, Corradi e quei derby di una volta: «La stracittadina non ha pronostico»

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Un altro derby particolare è quello che hanno “giocato” sulle pagine del SecoloXIX, Domenico Arnuzzo e Sidio Corradi. Il primo, sampdorianissimo, che a 14 anni ha cominciato a vestire quella maglia e poi negli anni ha continuato a “indossarla” seppur fuori dal rettangolo di gioco e in altre vesti, come responsabile delle giovanili, team manager e poi direttore sportivo: insomma 40 anni coi colori più belli del mondo addosso. E poi Corradi, capelli lunghi, affermazioni forti come: «Non avrei mai potuto essere Sampdoriano».

Sentire spiegare da loro il valore del Derby della Lanterna è un qualcosa di diverso, ti riporta in bocca il sapore delle cose buone, di quando il pallone era una cosa molto più semplice rispetto a quello che è diventato oggi: «Vorrei che un tifoso, un genovese, un sampdoriano potesse avere la fortuna che ho avuto io» afferma Arnuzzo «Sognare di vestire quella maglia e un giorno salire la scaletta che stava sotto la Sud e, uscendo vedere quel muro di blucerchiato. Sentivo l’aria che spariva dai polmoni e mi chiedevo “e ora devo pure giocare?”».

E Corradi definisce la genoanità, come una cosa che viene dal cuore: «È sentirsi addosso due colori come fosse una pelle. Ho avuto altre soddisfazioni in carriera, ho pure messo i limo nome nel Bologna che vinse lo scudetto. Non sono nato a Genova, ma il Genoa l’ho nel sangue. Ringrazi Maselli che mi ha fatto tornare da allenatore delle Giovanili e Preziosi che mi concede il brivido di lavorare con i ragazzi sul campo, con quella tuta addosso, a 72 anni. Il derby? Io non ne ho mai vinto uno: sette pareggi, una sconfitta, zero gol» continua Arnuzzo: «Noi lo sapevamo cosa era il Derby della Lanterna perché eravamo tutti, o quasi, genovesi. Poi arriva quel giorno e c’era solo l’agonismo. Il primo con la Primavera fece gol Sabatini e magari esultò troppo. Finì a spintoni. Tutti squalificati, 11 e 11 più Baldini allenatore della prima squadra seduto in panchina».

Il derby è partita molto fisica, come se davanti ci fossero due compagini di nemici giurati: «Solo avversari, anche se Damiani mi ha fatto nero. L’anno prima mi aveva dato una giostra, io mi ero preparato settimane, per pensare sempre a lui mettevo le scarpe nello spogliatoio come le leve di un flipper, perché è così che chiamavano Oscar. Poi, Canali manda me su Conti e Ferroni su Damiani. E lui fece doppietta. Dal campo insultai Canali, urlando che le marcature le aveva spagliate lui. Poi chiesi scusa» afferma Arnuzzo e Corradi: «Negrisolo pestava e pestava. Non lo sopportavo proprio. Un ricordo? Nel 1974 Vincenzi mandò in campo Nicolini, che aveva 19 anni, era di Quezzi e cominciò a tirare alle caviglie di Corso. Bittolo gliela promise: alla prima occasione lo stese sotto i Distinti, io gli camminai sopra con i tacchetti. Poi diventammo amici. In dieci, segno Derline Maraschi pareggio al 90′. Un altro colpo al cuore» questa partita se la ricorda anche il blucerchiato: «Io ero infortunato, quel gol lo vidi dietro la porta del Genoa, sotto la sud che esplose come un tuono, con mio figlio di cinque anni per mano. Una gioia incredibile».

E altri aneddoti, Arnuzzo: «Lo psicologo: tutti in mutande in una sala buia, a ripetere mantra di fiducia nei propri mezzi. A uno scappò da ridere e finì in una sghignazzata generale. Domenica? Il derby non ha pronostico».  E Corradi: «Noi niente psicologi. Ma il massaggiatore mi faceva mangiare sei zollette di zucchero per darmi energia. Questo derby? Il Genoa sta giocando bene ma metto la tripla e resto a casa per scaramanzia. Poi al 90′ torniamo tutti amici, giocatori e tifosi».

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