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Barreto: «Dispiace chiudere così. Vi spiego l’addio alla Sampdoria»

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Tutte le verità di Barreto, separatosi della Sampdoria da poco: «Non c’erano i presupposti per continuare, ma senza il virus avrei finito l’anno»

Dopo cinque anni si è conclusa l’avventura di Edgar Barreto alla Sampdoria. L’ormai ex centrocampista dei blucerchiati si è raccontato ai microfoni de Il Secolo XIX, raccontando i motivi della sua separazione.

ADDIO«Venerdì mattina sono passato al Mugnaini a salutare… sembrava un giorno normale, tanti sorrisi, qualche battuta, “cambiati e vieni a allenarti”… Ho rescisso il contratto. Non si erano creati i presupposti giusti per il prolungamento. Il Covid poi ha fatto un casino. La priorità per me è dare tranquillità alla mia famiglia. Tanti dettagli, grandi o piccoli, che mi hanno portato a prendere questa scelta. Mi è dispiaciuto tantissimo chiudere così, diciamo che ho anticipato i tempi di un mesetto. Senza questo maledetto virus sarei arrivato regolarmente alla fine del mio contratto».

NIENTE RITIRO «Sì, non smetto. Sto facendo il corso per allenatore ma se capita l’occasione, se c’è la possibilità, voglio giocare ancora e togliermi qualche altra soddisfazione. Se qualcuno pensa che io abbia rescisso perché non sto bene fisicamente, sbaglia. Dal ritiro di Ponte di Legno a oggi mi sono sempre allenato regolarmente, sono sempre stato convocato, poi chiaramente ogni allenatore fa le proprie scelte. Ma non ho mai perso la mia positività nei confronti del gruppo e non sono uno di quelli che rompe le scatole se non scende in campo. Chi mi conosce lo sa bene. Chiaramente ogni calciatore vuole essere un titolare, ma che giocassi o meno, l’atteggiamento e l’impegno in settimana sono stati sempre gli stessi. Mi hanno già chiamato dall’Olanda, la mia ex squadra del Breda. Vediamo. E’ anche vero che a Genova io e la mia famiglia stiamo benissimo, abbiamo costruito tanti legami, tante amicizie. Ci piacerebbe restare a vivere qui. Magari spunta qualcosa vicino. Aspetto e nel frattempo mi tengo allenato».

FAMIGLIA«Con mia moglie Rocio abbiamo condiviso la scelta. Il figlio più grande, Matìas, è quello che ha capito, Iker e Oliver sono troppo piccoli. Durante il lockdown abbiamo riguardato insieme alcune mie vecchie partite, anche del Mondiale con il Paraguay. Ho capito, si vede che loro vogliono ancora vedermi giocare e sarà così».

VIRUS«Sono stato influenzato un paio di giorni, un po’ di pesantezza agli occhi, poi stop. Però la mia grande paura era di trasmetterlo alla mia famiglia. E anche adesso, non me la sentirei di rischiare. In tanti dicono che una volta passato uno resta immune. Ma non ci sono certezze. Anche nel nostro spogliatoio a qualcuno è capitato di guarire e poi risultare di nuovo positivo. Riprendere a giocare significa anche andare in trasferta, viaggiare, dormire in albergo, incontrare persone. E per quante precauzioni tu possa prendere, non puoi mai sentirti sicuro».

UOMO SPOGLIATOIO «Le parole di Giampaolo mi avevano fatto piacere. Sono arrivato in Olanda dal Paraguay che ero giovane. E mi sono dovuto confrontare con tanti problemi, di lingua, clima, calcio. Se ci fosse stato qualcuno cui appoggiarmi, avrei fatto meno fatica. Da lì mi è rimasta dentro questa cosa, mettermi a disposizione dei giovani, aiutarli a inserirsi, fargli capire l’importanza dei lavori di prevenzione. Dell’impegno, del sacrificio. Nel calcio il difficile non è arrivare ma restare. La carriera si costruisce ogni giorno».

RICORDI ALLA SAMP«Lascio un pezzo di cuore. Mi sarebbe piaciuto finire la carriera qui e per un certo periodo ci ho anche creduto. Pensavo di avere trovato la squadra e la città che sentivo perfetti per l’anima mia e della mia famiglia. Non dimenticherò i tifosi. Il primo anno è stato difficile, la squadra aveva reso sotto le aspettative, me compreso. Poi con Giampaolo ci siamo ripresi. Prima si parlava di leader silenziosi. Nella Samp ce ne sono tantissimi, i fisioterapisti, i magazzinieri, è un gruppo splendido. Sarò sempre un tifoso blucerchiato».

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