Editoriale

Bruno, ci stavamo affezionando

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Bruno Fernandes lascia la Sampdoria dopo nemmeno un anno in maglia blucerchiata. Avrebbe potuto vestire la numero 10 per qualche altra stagione, invece la maledizione di questa maglia continua

Dieci mesi appena a Genova ed è già tempo di andar via. Bruno Fernandes saluta la Sampdoria: i blucerchiati d’altronde stanno cercando un trequartista da quando è terminato il campionato scorso, ma l’ambiente era per lo più convinto che la necessità partisse dalla cessione di Ricky Alvarez. E invece c’era qualcos’altro sotto, ossia la partenza di Bruno Fernandes, che dopo esser costato 1 milione per il prestito oneroso e 6 di riscatto obbligatorio dall’Udinese, sta per essere ceduto per una cifra pari a 9 milioni di euro. Con dei calcoli molto amatoriali e per niente prossimi a quelli che farebbe un economista, possiamo definire tale operazione come una plusvalenza risicata, ma pur sempre una plusvalenza di poco superiore al milione di euro, dovendo sottrarre anche l’ovvio ingaggio annuale del centrocampista classe ’94. Un modo come un altro per dire che su Fernandes non c’è più la fiducia riposta a inizio anno e cederlo a poco più della cifra spesa è un’ottima operazione, che accontenta tutte le parti. Eppure sembrava che dovesse essere il portoghese l’uomo designato a gestire le chiavi del vertice alto del centrocampo di Giampaolo, fino a questa smentita.

A Bruno, però, ammetto di esser stato sempre affezionato, sin dai tempi dell’Udinese e penso che bene o male anche il pubblico doriano si sia affezionato nell’ultimo periodo al magrolino numero 10 blucerchiato. La sua storia è quella di un talento mai espressosi e che dopo cinque anni in Italia, di cui quattro in Serie A, non aveva ancora trovato la propria collocazione nel mondo del pallone: arrivato al Novara per 40mila euro, ora se ne va per 9 milioni di euro, quindi numeri alla mano sicuramente la crescita è palese e tangibile. Ma dal punto di vista tecnico sono tanti gli aspetti che ci hanno lasciato dei dubbi: lasciamo ai posteri lusitani, pertanto, la risposta alla domanda su Bruno Fernandes, sul suo essere effettivamente forte o meno. Noi ci ricorderemo il pareggio col Palermo al 90′, quello che è valso la svolta della stagione di Giampaolo, mentre a Udine proveranno a fare uno sforzo di memoria per tornare a quella rovesciata che il portoghese segnò a porta vuota contro il Napoli. Due momenti emblematici per un giocatore che aveva dei colpi eccezionali, ma sporadici, dei tiri sbilenchi, che però se indirizzati bene sapevano farti urlare e saltare dalla sedia.

Il problema è che Bruno Fernandes, complice anche l’inizio ritardato della preparazione, gli impegni con la Nazionale, che anche in quest’estate lo stanno tenendo in clausura, quest’anno ha avuto davvero poco spazio. Soltanto due volte ha disputato una gara per intero (Inter, Fiorentina) e tutte le altre 31 presenze le ha collezionate venendo sostituito dopo un’ora di gioco o da subentrato, cosa più rara però. Numeri che, in un reparto così affollato in casa Sampdoria, possono anche risultare sufficienti, ma che non hanno convinto né fatto di Bruno Fernandes il giocatore che ha spaccato in due le partite: tra lui, Djuricic, Praet e Alvarez non siamo riusciti a capire chi avrebbe dovuto vestire la maglia numero 10 e inventare il gioco doriano. Il portoghese tra tutti questi si è rivelato essere il più affidabile, soprattutto dopo la trasformazione di Praet in mezz’ala e la decisione da parte di Giampaolo di mettere da parte Alvarez, fino al finale di stagione: ma non sempre essere il più affidabile significa essere il giocatore giusto o un buon giocatore. Forse un altro anno, con una preparazione completa sulle spalle, con uno schema tattico oramai già assimilato e con una squadra affiatata, avrebbe potuto fare di più, brillare di più, invece la scelta – sicuramente avallata dalla dirigenza della Sampdoria – è stata quella di tornare a casa, in Portogallo, per una nuova avventura ad appena 23 anni, allo Sporting Lisbona. Proprio ora che ci stavamo affezionando.

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