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Cagni: «È da qualche anno che la Sampdoria ha dei problemi. Società in confusione, Donati paga l’inesperienza» – ESCLUSIVA

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Gigi Cagni, ex tecnico della Sampdoria, ha parlato in esclusiva ai nostri microfoni del complicato momento blucerchiato, Massimo Donati e tanto altro

Gigi Cagni ha fatto la storia della Serie B collezionando da giocatore 485 partite disputate, altrettanto proficua è stata la sua carriera da tecnico navigato ed esperienza conoscitore di diverse piazze, tra cui quella dalla Sampdoria.

Proprio alla guida blucerchiata è stato in cadetteria nella stagione 2000-2001, ottenendo il quinto posto. L’allenatore, che conosce bene l’ambiente del Doria, ha parlato in esclusiva con noi del complicato momento vissuto dalla squadra ligure, del tecnico Massimo Donati e tanto altro. Le sue parole:

LE DICHIARAZIONI DI CAGNI

L’inizio di stagione della Sampdoria non è stata delle migliori, come testimoniano le quattro sconfitte consecutive maturate tra Serie B e Coppa Italia. Come valuta questo momento particolarmente complesso che sta vivendo la squadra di Donati?

«È da qualche anno che la Sampdoria ha dei problemi. In base alla mia esperienza maturata da giocatore prima e da tecnico in seguito, ho vissuto delle situazioni anche molto difficili, però dietro c’era una base solida composta da una società forte, un direttore sportivo e l’allenatore con uno staff tecnico. Partendo da questa considerazione, dico che che alla Samp manca questo asset da 2/3 anni. In questa stagione, poi, il club si compone poi di due direttori sportivi che fanno il mercato, un presidente e il proprietario, ma si circonda anche di tante figure e di un allenatore inesperto».

A proposito del tecnico, se pensiamo al valzer di allenatori andato in scena nella passata stagione, potrebbe ripetersi lo stesso scenario anche quest’anno?

«È da tre anni che questa organizzazione societaria fa il contrario rispetto a quanto recitano le regole del calcio. Se sei in una situazione difficile, il che può capitare, al giorno d’oggi l’allenatore diventa determinante a tutti i livelli, il leader della squadra a prescindere dal campionato che si disputa. Nel caso della Sampdoria prendi un tecnico inesperto, che sarà anche bravo, ma qui il concetto è questo: se tu devi spendere qualcosa in più, devi farlo per un profilo che sappia dirigere. Qua invece si parla di algoritmi che scelgono il tecnico, ma sembra che si operi con una logica che va contro ogni tipo di organizzazione, soprattutto nel campo calcistico, il che la rende pericolosa».

Rimanendo sulla questione Donati, si era parlato di un possibile esonero del tecnico friulano dopo il filotto di sconfitte maturato, salvo poi essere confermato da Walker e Fredberg. Molto dipenderà dall’esito del match contro il Monza. Pareri in merito?

«Io non conosco Donati e non entro nel merito della vicenda. È un allenatore giovane al primo anno su una panchina importante come quella blucerchiata, dopo l’esperienza in Grecia con l’Athens Kallithéa. È la società che decide se confermarlo, dunque decide se fare un passo del genere. A quel punto dovrebbe essere costantemente in contatto con la squadra, il tecnico e il suo staff per capire se si sta lavorando bene. Tutto ciò lasciando perdere i risultati perché l’inizio è stato incerto, ma quattro partite non sono tante e non possono determinare una stagione. Le valutazioni vanno fatte in maniera diversa, nel senso se tu ti fidi dell’allenatore perché vedi che lavora bene, quindi vai avanti con lui».

Focalizzandoci sull’operato di Jesper Fredberg e Andrea Mancini, quali sono le sue considerazioni?

«Hanno due modi differenti di lavorare: il CEO dell’Area Football opera in base a dei criteri dettati dall’algoritmo, invece Mancini segue un approccio più tradizionale andando a scovare giovani di prospettiva o giocatori con esperienza pregressa nel campionato italiano. Mancini poi è cresciuto con il padre Roberto, ha avuto pertanto modo di conoscere un po’ il mondo del calcio».

Capitolo calciomercato, la Sampdoria ha arricchito il centrocampo ma manca di alcuni elementi soprattutto in attacco, dove l’unico centravanti di razza è Coda. Quali sono le sue considerazioni sul calciomercato dei blucerchiati?

«Per quanto riguarda la costruzione della squadra, è eclatante quanto successo in questa sessione estiva. In fase di calciomercato io ho sempre chiesto e voluto, anche in situazioni di difficoltà economica, giocatori chiave in determinati ruoli del campo: portiere, libero, regista e soprattutto il centravanti. Questo ad oggi manca in questa Sampdoria, il tutto nonostante la presenza di Coda, recordman e re indiscusso della Serie B. Deve esserci un ricambio che permetta al centravanti di rifiatare».

La partita contro il Monza, in programma domani, sarà determinante per diversi fattori analizzati in precedenza. Quale elemento sarà fondamentale in chiave tattica, di atteggiamento ma anche a livello mentale in questo match?

«C’è un aspetto fondamentale da cui non può prescindere la squadra in cadetteria, ma anche in Serie A: l’intensità. Io ho allenato sia il Genoa che la Sampdoria, quindi conosco il fattore “Marassi”, i tifosi si aspettano grinta e cattiveria agonistica in campo per tutto l’arco dei novanta minuti a prescindere che si parli di modulo o bel gioco. Davanti a 20mila persone non si può assistere a prestazioni in cui i giocatori non corrano duecento all’ora dando l’anima in campo. Sia la società che il tecnico devono pretendere dagli effettivi che hanno a disposizione spirito di sacrificio e carattere. Detto questo, tocca a Donati e allo staff tecnico mettere i calciatori nelle condizioni di esprimersi su questi livelli. Al “Ferraris” perdonano tutto, anche le sconfitte, ma purché avvengano a ritmi elevati e ci mettano cuore».

In questa settimana ha fatto discutere l’alternanza tra i pali tra Simone Ghidotti e Gaetan Coucke. Quali sono le sue constatazioni?

«Non entro nel merito della vicenda perché sono scelte del tecnico, questo è solo un aspetto marginale del momento che sta vivendo il Doria. In generale un allenatore deve avere l’esperienza giusta, carattere e coraggio di prendere decisioni giuste in base al proprio credo calcistico. In casa Sampdoria ciò non accade perché Donati non ha ancora la personalità per fare ciò. È questa la strada per risalire. In questo contesto troppa gente parla perdendo di vista la realtà: ridare alla piazza il posto che merita. Per il tecnico è difficile lavorare in un habitat confusionario e senza un’identità ben precisa. Servono dei leader dentro e fuori dal campo, sono determinanti per una reazione della squadra».

Chiusa la parentesi blucerchiata, saliamo di categoria e parliamo di Serie A mantenendoci sul profilo degli allenatori emergenti: su tutti Fabio Pisacane. Quali sono le sue valutazioni sul tecnico del Cagliari e sulla squadra?

«Oggi l’esperienza è determinante e la maturi partita dopo partita, grazie anche al sostegno della società, cosa che avviene nel Cagliari. Il club rossoblù ha deciso di puntare su un tecnico giovane, che bene ha fatto nel settore Primavera valorizzando ragazzi interessanti e vincendo la Coppa Italia di categoria. Di Pisacane ho visto cose interessanti e ad oggi mi piace per quello che ha mostrato in queste prime uscite da un punto di vista tattico, anche se dico sempre che generalmente l’operato del tecnico va valutato a fine stagione. Alla fine conta soprattutto un elemento importante: la gestione. Da questo punto è difficile perché ci sono diverse cose da valutare sia nei momenti belli, ma soprattutto brutti. La differenza la fa la capacità di leadership all’interno dello spogliatoio, remare nella stessa direzione, saper adattarsi e decidere bene sia che si tratti di infortuni, assenze pesanti e quant’altro avviene nel mondo del calcio. Pisacane è tra i profili più interessanti di questa stagione 2025/26, anche perché è al primo anno su una panchina di Serie A. Per quanto riguarda il Cagliari, corre e ha un’intensità pazzesca, una cattiveria agonistica impressionante, come dimostrano le partite contro Fiorentina e Napoli. Nell’ultima di campionato contro il Parma non ha fatto bene, ma è stato cinico in zona gol; la cosa più importante è stato il non aver subito reti. Ad oggi il mio giudizio è positivo».

Infine un quesito sulla Nazionale. Gattuso è stato chiamato in una situazione difficile e ha ridato agli azzurri quella grinta che probabilmente è mancata nella gestione precedente. Le vittorie contro Estonia e Israele fanno ben sperare in chiave qualificazione ai prossimi Mondiali 2026. Un suo giudizio?

«Gattuso non è solo cattiveria e rabbia agonistica, è un tecnico che di calcio ne capisce come dimostra la sua carriera da calciatore prima, nelle vesti di CT ora. Detto questo, il problema sta nella rosa che ad oggi non ha ricambio generazionale e si compone di 30 giocatori, di cui alcuni pescati in campionati esteri come dimostra il caso Retegui. Gattuso può operare fino a un certo punto perché bisogna fare i conti con la realtà: ci sono sono 30/35 giocatori e le scelte sono solo quelle. Per quanto riguarda le partite contro Estonia e Israele, di cui è stata esaltata la reazione degli azzurri, ciò fa sorridere perché nel calcio di 20-30 anni fa non pensavamo nemmeno a queste squadre pur rispettando il loro blasone. Se gli azzurri hanno timore contro queste compagini, allora vuol dire che qualcosa non va; in tal senso mi riferisco alla bassa percentuale di giocatori italiani e alla poca personalità. E poi non c’è un giocatore di qualità, di classe, come ad esempio lo è Yamal del Barcellona o Yildiz della Juve».

Si ringrazia Gigi Cagni per la gentilezza e disponibilità mostrate nel corso di questa intervista.

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