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Cavasin: «Io fenomeno? Sì, ed ecco perché»

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L’ex allenatore della Sampdoria Cavasin: «A Genova trovai disperazione, ora la Samp può lottare per l’Europa. Vi spiego il perché del “fenomeno”»

Quando viene pronunciato il nome di Alberto Cavasin in casa Sampdoria, le reazioni possibili sono due. La prima è una faccia triste, quella di chi ripensa all’incubo vissuto nella stagione 2010-2011, che culminò nella retrocessione in Serie B e di cui l’allenatore veneto fu il traghettatore per le ultime dieci giornate; la seconda, invece, è un sorriso amaro, che spunta sulle labbra a chi ripensa alla famosa gaffe del “fenomeno”, espressione tragicomica di quel periodo che la piazza blucerchiata stava vivendo. A distanza di sette anni, lo stesso Cavasin è tornato a parlare di quell’episodio che tanto fece discutere, e che ancora adesso contraddistingue il tecnico nell’immaginario dei tifosi doriani: «Il contesto di quella parola bisognava metterlo sulla domanda. Il giornalista – ricorda ai microfoni di Genova Post – mi chiese se mi stessi sentendo in discussione. Pochi giorni dopo dal mio arrivo, un giornale dedicò una pagina intera all’indiscrezione che la Samp avesse già l’accordo con Delio Rossi per la stagione seguente. Allora io risposi “sono un fenomeno”, perché dovevo ancora arrivare, che già avevano preso l’allenatore per l’anno dopo. Ho espresso un concetto non chiaro, però il “fenomeno” era riferito a un contesto che non centrava niente con l’allenatore. Sono sempre stato precario a Genova, “sono un fenomeno” perché era già tanto per me che fossi arrivato lì. “Sono un fenomeno” per dire cosa vuoi che sia, che stanno pensando di mandarmi via».

Nei giorni che precedettero il suo arrivo a Genova, Cavasin era convinto di dover andare ad allenare il Cesena, ma poi arrivò l’inaspettata chiamata della Sampdoria, la cui situazione non appariva ai suoi occhi così tragica: «Quando sono entrato ho capito che c’era un disagio immenso, che non avevo mai trovato altrove. Sia a livello societario, che tecnico. C’era disagio, pesantezza, depressione. Ma c’erano anche problemi tecnici. Le punte per un motivo o per l’altro non le avevamo, c’erano diversi infortunati. Ma il grave problema, che poi io non riuscii a risolvere, non era tanto a livello tecnico quanto a livello emotivo. Non sono riuscito a dare la carica emotiva che mi aspettavo. Nella mia carriera di allenatore sono subentrato tante volte – prosegue l’ex allenatore blucerchiato -, anche in squadre che erano ultime in classifica. Per me era normale allenare squadre che si giocavano la permanenza nella massima serie. A Genova, invece, trovai una disperazione che altrove non avevo mai trovato. Abbiamo perso a Catania e i giocatori piangevano a fine partita, dalla disperazione. Non so cosa avrebbero fatto per venirne fuori, avevano un attaccamento tale che li portò a una disperazione esagerata. È quello che ci ha affossato. Perché così era tutto l’ambiente. Vivevo l’incubo e questo ci ha tirato sotto. Ci siamo tolti energie. E io che venivo chiamato a dare energie, ho dato le energie che avevo, ma non sono bastate. Eravamo troppo presi. Dal troppo amore, vivevamo il dramma invece che l’amore. Noi come squadra, i tifosi, nella loro sofferenza, erano avviliti e disperati».

La situazione attuale, per fortuna, è molto diversa da quella di allora e per Cavasin la Sampdoria può lottare per un posto in Europa già da quest’anno: «La società oggi si è data una struttura, mentre la Samp che allenavo io era in fase di evoluzione cadente. Finché non c’è stato il cambio societario, non c’è stata una dimensione della Samp. Oggi abbiamo una società che ha in ogni ruolo societario delle persone valide, che c’erano anche allora, ma la differenza sostanziale è che a differenza di allora c’è un progetto. I vasi sono comunicanti, la società è armoniosa ed equilibrata nei ruoli. E questo è fondamentale per la squadra. Oggi la Sampdoria ha questo – conclude il tecnico – ed è fondamentale averlo». 

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