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Defraudati

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Ci ha pensato Carlo Osti ieri sera a placarci tutti, a farci calmare. Ci ha dato una spiegazione a freddo di quanto accaduto: lo fa con la sua calma olimpionica, con quella flemma quasi anglosassone che non lo ha mai scomposto in questi anni, in questo periodo in cui l’ho incontrato, l’ho ascoltato, l’ho visto, l’ho sentito. Il fallo su Dodô, sull’azione che porta al gol di Bacca, non c’è. E anche se lo dice a noi, uno stadio intero non ha mancato di scatenarsi, di scagliarsi contro l’arbitro Valeri, la cui interpretazione della gara ha lasciato non pochi dubbi. Per la prima volta ho pensato, io che odio e rifuggo i complottismi più di ogni altra cosa al mondo, alla malefede di un giudice terzo in campo seguendo la sua gestione dei falli, dei cartellini, dei fischi. Non avendo, però, i replay a mio favore dalla tribuna stampa potrei aver sbagliato io, così come tutti, a quanto pare, abbiamo sbagliato sul gol del Milan. 

Senza voler andare a recriminare, quindi, sul gol subito, sono costretto a stendere un velo pietoso anche sul gol di Dodô, perché replay o non replay, la scelta è complicatissima. Non è facile dire se effettivamente Quagliarella tocchi la palla: nel caso in cui lo facesse allora l’esterno brasiliano sarebbe in fuorigioco, altrimenti no. C’erano tre persone in campo per poter giudicare: mi auguro che lo abbiano fatto con criterio e con giudizio, soprattutto là dove Valeri ha deciso di tornare sui suoi passi dopo aver assegnato la rete del vantaggio. Un vantaggio meritato. In ogni caso, come dicevo poc’anzi, senza voler andare a recriminare sui torti arbitrali, ieri sera mi sono sentito defraudato dal risultato, dalla partita, dal Milan di Brocchi.

Un Milan che ha giocato davvero male, che si è presentato sì in maniera compatta al Luigi Ferraris, ma che non ha espresso alcuna forma di gioco o di inventiva. È chiara la mano di Sinisa Mihajlovic, che abbiamo imparato a conoscere, ma sembra che Brocchi abbia portato anche un freno a quella che era la grinta rossonera, maturata soltanto in alcune ripartenza su palle clamorosamente regalate dal nostro centrocampo: azioni che però non hanno fatto altro che esaltare la nostra difesa, a partire da Silvestre, nel secondo tempo da standing ovation per una chiusura fondamentale. Un Milan che per 90 minuti non ha capito che andava coperta la fascia di De Silvestri, clamorosamente sempre libero, capace di andare al cross per ben 14 volte, tutte nel secondo tempo. Una quantità di passaggi incredibili, soprattutto se si guarda gli altri risultati: Dodô, per esempio, ha crossato appena 4 volte. Era un Milan da battere, perché non ha offerto un gioco che meritasse di condurli alla vittoria, così come sul piano fisico la Sampdoria è riuscita a sovrastarli. 

Lo si vedeva in mezzo al campo, dove al netto di alcuni errori causati da una imprecisione dei nostri – Fernando su tutti – il Doria è riuscito a muoversi in maniera più districata, più furba. Ma non lo si vedeva in area di rigore, perché la scelta di schierare Quagliarella da solo, senza un supporto che potesse dargli man forte, si è rivelata poco produttiva stavolta; ma non per colpa di Montella, bensì a causa di un Alvarez decisamente spento, che non è riuscito a fornirgli il supporto decisivo, che non lo ha accompagnato nelle azioni d’attacco. La musica non cambia, purtroppo, con Correa, e forse sarebbe davvero servito Cassano in una partita così. Ché magari da ex, con qualche parola ancora da dire al Milan, il suo ce l’avrebbe messo, se non fosse stato per l’infortunio. Defraudati anche dalla sorte, insomma, se vi piace pensarla così: io non c’ho mai creduto ai fenomeni paranormali. Fatto sta che non vedo l’ora di chiudere questa stagione, non vedo l’ora di mettermi un intero anno alle spalle, perché quest’annata ha provato un po’ tutti e serve una tabula rasa, una ripartenza estiva, un po’ di aria di montagna a Ponte di Legno e poi di nuovo a pensare al campo, al Ferraris. Magari con qualche torto in meno e con qualche soddisfazione in più. 

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