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ESCLUSIVA – Nicolini controcorrente: «La Serie A deve provare a riprendere»

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Esclusiva SampNews24 – L’ex Nicolini sulla ripresa della Serie A: «Proverei a riprendere. Il calcio dà da mangiare a 500mila persone»

Per parlare dell’emergenza Coronavirus e delle sue conseguenze sulla Serie A (ma non solo), la redazione di Sampnews24.com ha contattato in esclusiva l’ex giocatore della Sampdoria Enrico Nicolini, il mitico “Netzer di Quezzi”.

Partiamo, purtroppo, con una brutta notizia. La Sampdoria è in lutto per la morte di Filippo Mantovani.

«Io sono molto legato ad Enrico, Francesca e Ludovica. Con Filippo sinceramente non ho mai avuto rapporti, quindi non posso dire granché, ma è certo che faceva sempre parte della grande famiglia e la sua scomparsa lascia tutti molto addolorati. Poi si parla di un ragazzo di 54 anni che non c’è più».

La ripresa della Serie A appare sempre più difficile. Sei d’accordo con Ferrero? 

«Come dico da un po’ di tempo, ad oggi qualsiasi ipotesi è giusta e sbagliata allo stesso tempo: bisogna vedere la tempistica, come si evolverà la situazione e quando si potrebbe teoricamente ricominciare. Dal punto di vista etico, diciamo, sarebbe bello chiudere qua e rivederci l’anno prossimo. Ribadisco, però, che il calcio non è fatto solo di 250 calciatori di Serie A, ma è un mondo che dà da mangiare in Italia a 500mila persone. Si focalizza sempre l’attenzione sui giocatori, ma sono solo un anello della catena. Ci sono i magazzinieri, i fisioterapisti, gli autisti dei pullman, i ragazzi e gli addetti dei settori giovanili, quelli che lavorano nelle fabbriche di abbigliamento sportivo, e così via. Proprio in virtù di questo credo che sarebbe opportuno provare a riprendere la stagione e finirla anche in estate, sempre che i tempi non si allunghino troppo e non si rischi di rovinare anche la prossima stagione, ma soprattutto che ci siano le garanzie per giocare tutti in sicurezza. Se si può fare senza rischi, ricomincerei».

I giocatori della Juventus hanno rinunciato a un terzo del loro stipendio: un esempio per la Serie A?

«Io sono stato un po’ il precursore di questo discorso. Sono ancora tesserato della Cremonese, quindi anche per le mie finanze è controproducente, ma è normale che ognuno debba fare la sua parte in una situazione come questa». 

Vi siete sentiti in questi giorni con Ranieri? Come state passando la quarantena?

«Ci siamo sentiti, sì, anche lui è rinchiuso in casa come tutti in casa, ma so che comunque è parecchio in contatto con la squadra. Li hanno dotati di cyclette, pesi e strumenti vari per tenersi in forma: chiaro che la situazione può essere ancora sotto controllo ad oggi, se hai lo spazio per allenarti quel 50-60% di condizione lo riesci a mantenere. Se si riprendesse a giocare, però, quindici giorni prima delle partite bisognerebbe avere il permesso di fare un minimo di preparazione vera, sul campo. Il lato positivo è che tutte le squadre saranno sullo stesso piano a livello di forma fisica».

Tu e Ranieri siete legati da un’amicizia che dura da decenni. Ci vuoi raccontare qualcosa del vostro rapporto?

«L’amicizia con Claudio è particolare, ci ha legato il fatto che entrambi abbiamo sposato due ragazze di Catanzaro e ogni estate ci vediamo giù in Calabria. Siamo un gruppo di ex compagni che si ritrova al mare lì. C’è questo gruppo di amici che si è consolidato nel tempo, fin dal ’76. Il primo anno che sono arrivato a Catanzaro Claudio era già lì e il nostro legame si è rinforzato sempre più grazie a questa cosa. Come dico sempre, lui era vecchio anche da giovane (ride, ndr): un ragazzo veramente a posto e maturo da sempre. Al contrario di altri, che ti chiedi come facciano a fare quel lavoro con il carattere che si ritrovano, Claudio era naturale che facesse l’allenatore, perché aveva la testa giusta già all’epoca». 

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