Schaaf e quel preliminare: «Il gol di Cassano decisivo, sapevo avremmo vinto» - Samp News 24
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2014

Schaaf e quel preliminare: «Il gol di Cassano decisivo, sapevo avremmo vinto»

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Sabaro sera la Sampdoria ha incontrato per il Trofeo Boskov l’Eintracht Francoforte, una gara amichevole ma che tra le sue trame interne ne aveva una particolarmente dolorosa per i tifosi blucerchiati: l’allenatore del Frankfurt è Thomas Schaaf, che nell’agosto 2010 siedeva sulla panchina del Werder Brema, proprio quel Werder che la Samp incontrò nello sfortunato Preliminare di Champions, in quella gara persa all’ultimo secondo col gol di Rosemberg che diede i supplementari ai tedeschi e al gol di Pizarro che chiuse i conti nell’extra time.

Il Secolo XIX ha intervistato il tecnico tedesco: «La gara di sabato è stata una partita dai due volti: nel primo tempo non ci siamo stati, troppi errori, troppe palle perse, posizioni non giuste. Nel secondo invece siamo andati decisamente meglio, ma non è dipeso dai cambi, bensì dal diverso atteggiamento mentale. Nel complesso un tempo a testa, anche se il loro parziale è stato un 4-1. Il ritorno a Ferraris? Era la prima volta che tornavo, ma qualche emozione l’ho provata».

Ed ecco che si torna a quella sera del 27 agosto 2010: «Dopo un quarto d’ora eravamo sotto di due gol, quindi eravamo eliminati. Guardavo il campo e mi ripetevo “non può essere vero, sono nel posto sbagliato, la squadra è in un posto sbagliato”. Poi pian piano ho visto dei segnali di ripresa, nel secondo tempo siamo cresciuti, arrivavamo prima su ogni pallone. L’episodio decisivo? Il 3-0 di Cassano, perché ho visto che in campo c’era un’atmosfera di festa nella Sampdoria e anche fuori, sugli spalti. Tutti felici, tutti contenti, e in quel momento mi son detto: “Abbiamo ancora 5 minuti, noi li giochiamo, loro probabilmente no”. Me lo sentivo, ed è arrivato il gol di Rosemberg: mentalità tedesca contro mentalità italiana. Arrivato ai supplementari sapevo avremmo vinto, e comunque all’andata Pazzini aveva segnato proprio nel finale di gara, ma ricordo che avremmo potuto fare un paio di gol in più. Werder più forte di quella Samp? No, era una sfida equilibrata, come un po’ tutte quelle dei preliminari. Il crollo successivo della Samp? So che le cose non sono andate bene, ma non credo sia una responsabilità diretta del Werder».

La Germania ha vinto il Mondiale, e ora il modello tedesco è l’esempio da seguire per fare bene: «I modelli – commenta Schaaf – sono spesso legati alla nazionale Campione del Mondo: nel 2006 il modello era il vostro, nel 2010 quello spagnolo, ora il nostro. Il calcio tedesco negli ultimi anni è cresciuto tantissimo, ha saputo sfruttare il Mondiale del 2006 per ricostruire gli stadi che adesso sono belli e funzionali. Ha saputo trasformare la partita in un evento: la partita si vive quasi tutto il giorno, gli stadi sono spesso pieni, c’è un pre e un post partita per gli spettatori, il livello tecnico medio si è innalzato, le gare sono divertenti, con tanti gol e i giocatori stranieri sono attratti dalla Bundesliga. I nostri giovani bravi, non vanno più all’estero: un tempo in Italia c’erano i Völler, Berthold, Sammer, Brehme, Briegel… Ora non più».

Dal Mondiale per la Samp è uscito come Campione del Mondo Shkodran Mustafi, ora voluto da tutti: «Prima del Mondiale non lo conosceva nessuno, a parte gli addetti ai lavori. Io lo conoscevo e avevo visto qualche sua clip, ora lo conoscono tutti e un pezzettino della Coppa del Mondo è anche sua. Mustafi nella mia squadra? È un giocatore bravo e ogni allenatore vorrebbe giocatori bravi nella sua squadra per alzare il livello tecnico. Però adesso non scrivete che l’Eintracht vuole Mustafi, perché non è vero».

Per Schaaf, dopo 41 anni, è terminata la lunga storia d’amore col Werder: «È successo e sono contento di quello che ho fatto, erano anche altri tempi, nel calcio di oggi non credo sia più possibile fare un percorso del genere. Allenare in Italia? Non so, ora sono a Francoforte e sto bene qui, mi piace il calcio tedesco, ma non sono abituato a pensare troppo in là nel futuro, mai dire mai».

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