Commisso: «Serie A? Ricavi bassi, quasi tutti giocano in stadi comunali»
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Commisso: «Serie A? Ricavi bassi, quasi tutti giocano in stadi comunali»

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Rocco Commisso, presidente della Fiorentina, ha parlato del modello calcistico americano confrontandolo con quello italiano

Rocco Commisso, presidente della Fiorentina, durante l’evento Bussines of Sport US Summit organizzato dal Financial Times ha parlato della questione ricavi confrontando il modello italiano a quello americano.

CALCIO ITALIANO – «Le persone che oggi guadagnano con il calcio italiano sono persone che hanno acquistato piccoli club di Serie B o club che erano andati in bancarotta. Penso a club come la Lazio, il Napoli, l’Atalanta. Altri club sono stati acquistati a prezzi bassi. Il prezzo di acquisto è importante per le prospettive di guadagno future. Nel mio caso, il prezzo di acquisto sarebbe stato inferiore se avessi rilevato la Fiorentina durante la pandemia».

DIFFERENZE – «Ma credo che tutti gli investitori facciano un confronto tra il valore delle squadre americane, almeno per quanto riguarda gli americani, e quello delle squadre di calcio europee. Ho acquistato la Fiorentina a un prezzo doppio rispetto ai ricavi. Il valore delle squadre americane è di sei volte quello dei ricavi. Una grande differenza. Perché? Innanzitutto perché le squadre americane sono proprietarie dello stadio in cui giocano. In Italia la maggior parte degli stadi è di proprietà comunale. A Firenze paghiamo un affitto al Comune per poter giocare al Franchi. Lo stadio è stato costruito dal 1931 e uno dei grandi lati negativi del calcio italiano è la situazione relativa alle infrastrutture. L’impossibilità per le persone come me di dire “voglio costruire uno stadio nuovo, comodo per i tifosi e che possa generare ricavi”. In Italia è molto difficile farlo.

BUROCRAZIA – «Poi c’è l’aspetto burocratico, che è molto vincolante ed è completamente diverso da quanto succede negli Stati Uniti. Nelle maggiori leghe americane, le squadre non competono a livello internazionale. Quindi possono giocare quanto vogliono tra di loro e nessuna sa se sono i migliori al mondo oppure no. Negli Stati Uniti non esistono promozioni e retrocessioni. Dal punto di vista imprenditoriale, negli Stati Uniti si fa un ottimo lavoro, penso al salary cap, alle leghe chiuse, non esiste un mercato dei giocatori basato sui cartellini, come invece c’è in Europa».

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