2013

È proprio lei, pazza e blucerchiata come piace a noi

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Saltava, gioiva e, anche se lui sostiene il contrario, piangeva. Proprio come un bambino. Oggi Delio Rossi si è ripreso il calcio italiano e lo ha fatto a modo suo: battendo la Juventus nella sua tana (è la terza volta di fila). L’ex tecnico della Salernitana ha tutte le ragioni per essere felice, in pochi giorni ha rivitalizzato una squadra pressoché morta dandole già una precisa identità tattica ma soprattutto una solida struttura mentale che le ha permesso di battere, nonostante ogni tipo di contingenza sfavorevole, i campioni in carica a casa loro. 

Ma è stata dura, durissima e quasi tutti i doriani non si aspettavano che carbone dalla befana in un così ostico match. Le assenze, un attacco rimaneggiato e la consapevolezza di trovarsi di fronte un avversario semplicemente troppo forte. Insomma, i presupposti per augurarsi una chiusura in bellezza delle feste natalizie sembravano mancare. Lo sapevamo e l’abbiamo sofferto sulla nostra pelle quando Berardi inspiegabilmente falcia Marchisio e regala ai bianconeri il rigore che li porta in vantaggio. Quando solo al 32′ Valeri sventola il secondo cartellino giallo al terzino ticinese, la salita sembrava farsi troppo ripida e anzi subentrava la paura di subire un’imbarcata di quelle che difficilmente dimentichi. 

Inizia il secondo tempo: esce un frizzante Estigarribia e lo sostituisce il pasticcione De Silvestri: Delio non rinuncia alle due punte e conserva nel suo cuore una flebile fiammicella di speranza. Con lui, tutti i tifosi doriani che del maestro di Rimini si sono sempre fidati ciecamente. Il copione non cambia, almeno fino al 53′ quando Krsticic (che gioca un’altra grande partita) lancia il pallone e coglie Icardi che decide di colpirlo di prima, istintivamente ed estrosamente, come piace fare a quelli baciati dal talento. Il pallone in realtà non prende grande forza ma rimbalza proprio davanti a Buffon che, con sufficienza, non riesce a respingerlo e lo lascia terminare in fondo al sacco. Mauro mostra le orecchie proprio come quella fredda sera di novembre sotto la sud e la partita improvvisamente ricomincia, per la Juve e per una Samp che, nonostante tutto, non si era ancora arresa. Ma è un’altra partita, perché Obiang e Poli gestiscono la palla con calma olimpica e la giocano con classe, perché Eder quando prende palla diventa improvvisamente inarrestabile e fa ballare la samba ai confusi centrali juventini. 

Ma soprattutto, Icardi. Non segna, non trova mai la porta: ed è pure viziato. Questo è uno scarno riassunto di quanto sia stato detto sul su o conto nei giorni scorsi, questo avrà sentito dire negli spogliatoi. Perché, rientrato in campo, Icardi sembrava aver ricordato di avere altre qualità oltre a quelle tattiche e fisiche che tanto servono agli allenatori, come ricordano costantemente i commentatori tecnici delle pay-tv. E ce ne rendiamo conto quando Obiang gli passa la palla e lui la stampa con quella violenza che spesso ha lesinato nelle sue uscite precedenti, sotto la traversa alle spalle di uno stordito Buffon. È 2-1, Icardi mostra le orecchie: ancora non ci sente, e allora fuori la voce. S’inizia a cantare e ad urlare tant’è che diversi, tra gli amanti del Baciccia, troveranno difficoltà nel farsi capire domani, al lavoro o a scuola, di ritorno dalle vacanze. Ma non è finita, la Juve non può perdere e così ce la mette tutta per assicurarsi almeno un punto, ma una grande difesa (e un grande Palombo) e quella traversa, che ancora trema, ci danno ossigeno. 

Triplice fischio: è finita. La Sampdoria è la seconda squadra ad espugnare lo Juventus Stadium, la prima a farlo all’esordio. Ci si potrebbe benissimo chiedere: ma giocare sempre così bene no, eh? No. A noi piace così, pazza e blucerchiata proprio come quando ci ha rubato il cuore. 

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