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Il pentimento di Guberti: «Che le mie vicende aiutino i giovani a non sbagliare»

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E’ il 5 gennaio quando il presidente della FIGC Tavecchio concede la grazia a Stefano Guberti, ex-calciatore in forza alla Sampdoria nella stagione della retrocessione in Serie B e, come tutti sappiamo, coinvolto nelle vicende di calcioscommesse che gli sono costate una squalifica dal campo di quattro anni e un mese, conclusasi anzitempo, appunto, per volere di Tavecchio.

Ora l’esterno si è potuto rifare una vita, e sopratutto una carriera, grazie alla chance datagli dal Perugia, che l’ha tesserato a inizio stagione e che finalmente ora potrà schierarlo in campo. L’ex blucerchiato sembra aver capito la lezione dopo tutti gli sbagli commessi e si è sfogato ai taccuini de La Gazzetta dello Sport, narrando i momenti più bui di questi anni: «Il rancore non aiuta a giocare meglio, anzi. Certo, all’inizio di questa vicenda ero infuriato col mondo e soprattutto con Masiello che mi aveva accusato. Ora mi piacerebbe incontrarlo in campo e batterlo da avversario: sarebbe una soddisfazione doppia. A un certo punto ho toccato il fondo, l’odio stava mettendo a rischio tutto. Persino gli affetti più cari, compreso mio figlio».

La voglia di ricominciare è tanta, magari cercando di trarre qualcosa di buono dagli sbagli commessi: «Poco alla volta il dolore si è trasformato in energia positiva, sono maturato. Voglio dimostrarlo con i fatti, iniziando dal campo. Comportamenti diversi: con avversari, arbitri e tifosi. Niente più gesti sopra le righe. Mi concentrerò solo sul mio lavoro, cercando di ripagare la fiducia avuta dal Perugia. Mi piacerebbe trasformarla in qualcosa di utile ai ragazzi. Solo passando attraverso certe situazioni si capiscono gli errori».

All’epoca dei fatti, il calcioscommesse era la norma e il classe ’84 si era conformato a quell’ambiente “marcio” in cui viveva tutti i giorni: «Nel calcio, specie negli anni passati, troppe cose si davano per scontate. Nessuno ci spiegava i rischi di alcune abitudini. L’omertà, ad esempio, era una prassi. Invece è un errore madornale, le scommesse e le combine distruggono il calcio. Io ho sbagliato e spero che altri non ripetano il mio errore. Dovevo denunciare subito, ma allora nessuno mi ha aperto gli occhi. Avevo appena firmato con la Roma, quella con la Salernitana era la mia ultima gara col Bari. Pensavo ‘che m’importa’. Ho pagato per questo. E la lezione – confessa – ce l’ho impressa sulla pelle come un tatuaggio».

In principio non immaginava che potesse andare a finire così male: «Pensavo che la squalifica sarebbe stata cancellata. Dopo il primo stop ero sempre nella rosa della Roma, facevo le stesse cose di chi giocava: Zeman mi dava indicazioni. Solo quando lo stop è diventato definitivo ho capito cosa stava accadendo. E sono tornato a casa. A Villamassargia, dove tutti mi conoscono. Ogni sera andavo ad allenarmi con una squadra di D. E spesso facevo doppia seduta – spiega – sfruttando i pomeriggi con un altro club. Mi lavavo la tuta, lucidavo le scarpe. Pianti? Sì, molti. Mai davanti agli altri, sempre da solo. È il mio carattere. Pensavo di non tornare più a fare il calciatore. Un amico mi propose di aiutarlo con la sua azienda, che distribuisce bibite in Sardegna. La mia compagna mi ha sempre fatto sentire importante».

Gli errori sono serviti anche a distinguere i falsi amici da quelli veri, e a capire quanto è importante il sostegno dei propri cari: «Il momento più toccante è stato durante una cena con i miei. Papà è di poche parole, mi avrà detto “Bravo” due volte. Rimasi di sasso quando mi sussurrò: “Stefano, sei la nostra vita. Saremo sempre con te e pazienza se non tornerai a giocare”. Con le lacrime agli occhi gli ho fatto una promessa. Sto per mantenerla.  Con la sentenza a favore si sono rifatti vivi in tanti, persone sparite dopo la squalifica, compagni e pseudo amici. Anche questo mi è servito».

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