Mancini e Vialli, una coppia indissolubile: «Sampd'oro? Anni indimenticabili» - Samp News 24
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2015

Mancini e Vialli, una coppia indissolubile: «Sampd’oro? Anni indimenticabili»

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«Ho visto subito che quei due potevano formare una coppia pazzesca. Mi sento un pochino responsabile del miracolo che è avvenuto in quegli anni della Samp. Li chiamavamo i gemelli del gol e avevamo ragione». A parlare è Alviero Chiorri, l’uomo che fu scambiato con la Cremonese per portare alla Samp uno di quei due gemelli. Dalla Lombardia arrivò Gianluca Vialli, l’altro era Roberto Mancini ed era già blucerchiato all’epoca. Con una lunga intervista ai due protagonisti, “Il Fatto Quotidiano”, con firma di Gabriella Greison, ha voluto raccontare il profilo di una delle coppie d’attacco migliori che il calcio italiano abbia mai avuto.

LUCA – Vialli comincia a parlare: «Ci piaceva tanto stare insieme, eravamo come in trincea: io coprivo le spalle a lui e lui a me. Ci sentivamo al sicuro, condividevamo tutto, ogni più piccolo segreto. Ancora oggi custodisco quei pezzetti di storia con grande gelosia. Dormire di fianco l’uno all’altro per quasi dieci anni, e negli anni più belli della tua vita, crea qualcosa di indissolubile. Poi è stato lui a voler andare in una stanza da solo… diceva che russavo la notte. Bah, mi sa che non era vero! Invece era lui che si svegliava perché voleva mangiare di notte».

ROBERTO – Il Mancio sorride, ma risponde: «Russava, eccome! E noi lo registravamo pure, per poi farlo sentire a tutti il giorno dopo e riderne. Ma era permaloso, non diteglielo. Certo che poi, una volta che mi svegliato, restavo sveglio. Per questo mi veniva fame». E Vialli si fa più serio: «Si svegliava e si faceva i toast… ricordo il profumo di mozzarella e prosciutto nel pieno della notte. Ma siccome Roberto aveva un fisico che tendeva ad ingrassare, poi se la prendeva con me». Mancini risponde ancora: «Non è vero: lui la mattina, siccome Boskov ci pesava tutti prima dell’allenamento, per perdere qualche chilo si chiudeva in bagno un sacco di tempo… prendeva la purga, capito? Era un precisino, ci teneva alla linea. Eravamo molto diversi in questo, ma proprio queste differenze ci hanno unito».

ALTRI TEMPI – L’ex numero 10 blucerchiato non ha dimenticato quegli anni: «Nessuno riusciva a entrare nel nostro mondo: eravamo l’unione che fa la forza, una cosa da brivivdi. Ricordo con trasporto e con emozione quegli anni. Era un periodo speciale per il calcio. tutto doveva ancora avvenire e noi eravamo ancora ventenni, veloci con la testa e con i piedi. Vivevamo a Genova, una città che ti permette di far tutto quello che vuoi a misura d’uomo, proprio come le marcature di Boskov». Oggi sono così diversi, ma il passato li accomuna: «Vivevamo tra Quinto e Nervi e gli allenamenti erano a Bogliasco – racconta Vialli -. Ci muovevamo anche con i mezzi pubblici o con il treno. Il ristorante a tre minuti da casa, il campo a cinque: era tutto vicino e a quei tempi non pensavamo al successo o alla fama».

BOSKOV – Mancini conferma: «Oggi non si vedono storie così, perché sono cambiate le condizioni, ma non penso che possano ritornare. Il calcio è come la moda: è ciclico. Io sono il primo a rifare quello che mi ha insegnato Boskov, cerco di chiudere il cerchio. Molte volte in allenamento cito le sue frasi. Sento che trasmetto qualcosa di più grande in questa maniera. Le mie frasi preferite sono: «Meglio perdere 4-0 che quattro volte 1-0» oppure «I giocatori vincono, gli allenatori perdono». Poi ai nostri tempi c’era il presidente Mantovani, che faceva tutto il resto. Parliamo di un uomo che viene da un altro pianeta, che ha puntato tutto sull’unione del gruppo, per radicare legami e saldare i caratteri dei suoi ragazzi».

MANTOVANI – Il figlio di Mantovani, Enrico, ha un presente da dirigente ed è sempre allo stadio. Lui parla così di Paolo: «Mio padre diceva che la costruzione di un gruppo vincente partiva innanzitutto dal rapporto di simbiosi che poteva nascere tra i giocatori. Lui ha fatto in modo che le grandi amicizie potessero sbocciare in maniera del tutto naturale. Aveva messo insieme otto-nove ragazzi della stessa età e se li coccolava, invitandoli uno per uno in salotto nella casa di Sant’Ilario, conoscendoli, parlando tanto con ognuno di loro». Paolo Mantovani non appariva spesso in telecamera, ma viveva le vittorie della sua Samp con discrezione e felicità. Mai negli spogliatoi, tranne una volta che dovette rincuorare la squadra nell’anno dopo lo Scudetto del 1991.

LA MAGIA DAGLI SPALTI – C’è chi ha vissuto la coppia Vialli-Mancini dagli spalti, come Enzo Tirotta, storico leader degli Ultras della Sud: «Entrambi hanno fatto gesti impensabili per un calciatore di oggi: per questo si sono fatti amare. Vialli è venuto al campo di Bogliasco a fare la partita d’addio contro noi tifosi: eravamo in 10mila che volevamo giocare contro di lui. Mancini girava per la città con il cappello blucerchiato, per far capire quanto si sentisse in sintonia con la squadra e non certo per mostrare qualche sponsor. Vialli per farci uno scherzo una volta è venuto al ristorante con la maglia del Genoa sotto la camicia. Quando abbiamo raccolto cibo da inviare ai ragazzi dell’ex Jugoslavia, Mancini è arrivato allo stadio con un taxi carico di roba da mangiare e ce l’ha consegnata. Due giocatori perfetti, pure per noi tifosi».

COMPETIZIONE – Dice ancora Enrico Mantovani: «Non lo ammetteranno mai, ma provate a metterli vicini: battibeccheranno sempre, perché sono cresciuti così». E Mancini aggiunge: «Vivevamo per strada tra Nervi e Quinto, a nostro agio come fosse un attico con vista in centro per i giocatori di oggi. Questo ti condiziona il carattere, cresci più semplice, più spontaneo. Per questo io mi arrabbiavo con Luca apertamente, senza nascondere niente, con impeto, con naturalezza, in maniera genuina: ricordo ancora le urlate che gli davo in campo». Vialli: «Solo una volta non ci siamo parlati per una settimana, perché lui aveva esagerato. Ma il primo a riappacificarsi fui io, perché ci soffrivo». Mancini controbatte: «Sono stato io con lui, perché lui era troppo orgoglioso per farlo».

BLUCERCHIATO – Vialli vedeva Mancini come uno stimolo: «Io miglioravo lui, lui migliorava me. Lui più avanti, io più indietro. Ci completavamo. Ormai è letteratura pura…». Mancini: «Io più coraggioso, lui più calcolatore. E a carte ero più bravo io…». Vialli non è d’accordo e aggiunge: «A volte penso di aver vissuto qualcosa di unico in quest’ambiente: sono stato fortunato. Tutte le maglie di calcio hanno colori che se ti sposti in un altro paese al mondo, le ritrovi sotto altre tonalità. Il blucerchiato invece è proprio solo lì, e solo quello». Chiude il Mancio: «Su un campo di calcio se ti danno una pacca sulla spalla non è certo per amicizia. In quella Sampdoria, invece, succedeva».

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