Rossi e le 700 panchine: «Il presente è più importante» - Samp News 24
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2013

Rossi e le 700 panchine: «Il presente è più importante»

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Si avvicina una grande soddisfazione per Delio Rossi: nel recupero contro l’Inter di inizio aprile, il tecnico di Rimini festeggerà le 700 panchine da professionista. Un traguardo straordinario ed un percorso che viene rivisitato in un’intervista al Secolo XIX: «Non ricordo bene né la centesima, né la duecentesima…». Ma sulla trecentesima (Samp-Lecce del 14 settembre 2002, ndr), l’allenatore rimembra: «Quella me la ricordo: fu una delle mie poche sconfitte immeritate. Tutte le altre sono meritate, ma quella no: ricordo come eravamo appena retrocessi, eppure il Lecce giocava molto, molto bene. A fine anno, però, riuscimmo a tornare in A». La quattrocentesima fu una sconfitta contro la Roma quando allenava l’Atalanta: «Anche quella me la ricordo, gol di Cassano. Mi ricordo come presi la squadra a sette punti dalla penultima e riuscimmo a rimontare, cullando il sogno di rimanere in Serie A. Quel gol chiuse il discorso. Sabato torno a Bergamo e ho bei ricordi, anche perché non vivo mai le mie ex-squadre come un nemico, bensì come un avversario: con l’Atalanta ho vissuto momenti fantastici, anche perché la tifoseria ci restò accanto fino alla fine. Ricordo il giorno della retrocessione: lo stadio era pieno come se avessimo vinto un trofeo, nonostante la piazza di Bergamo sia “dura”, perché non ci sta a perdere».

Non ricorda la cinquecentesima (un Livorno-Lazio dell’ottobre 2007, ndr) e ha difficoltà anche con la seicentesima. Una vittoria del Palermo in casa della Juve per 2-0 nel febbraio 2010, però, non dovrebbe essere facile da dimenticare: «Forse ricordo solo che Delneri era l’allenatore della Juventus…». E’ cambiato molto da quel Salernitana-Udinese del 1993, prima partita ufficiale di Delio Rossi come allenatore? «Nei concetti sono sempre lo stesso, ma credo di aver smussato i miei angoli pungenti. Come una pietra in un torrente, all’inizio è spigolosa, ma poi comincia a levigarsi; fermo restando che l’essenza della pietra rimane la stessa». Il calcio è cambiato molto, invece: «La legge Bosman è stato lo spartiacque: non solo perché il calciatore si è emancipato, ma perché quest’ultimo è diventato una vera e propria impresa individuale. Perciò, anche i rapporti allenatore-calciatore sono cambiati; tuttavia, i giocatori sono molto più professionisti di vent’anni fa». Il calcio di Delio Rossi è cambiato? «Sempre lo stesso: ho sempre amato il calcio propositivo, non quello passivo. Tuttavia, bisogna anche tenere conto delle forze in campo: non è che il Foggia potesse dominare per 90′ a “San Siro” contro il Milan…».

Su 698 partite disputate, ci sono ben 261 vittorie: «E’ relativo: se alleni Lecce e Salernitana in Serie A, otterrai meno vittorie che allenando una squadra di vertice in B. E’ strano, ma la vittoria contro la Juve non lena il dolore della sconfitta del Foggia contro l’Ipswich (nel Torneo Anglo-Italiano del 1995, ndr). Le vittorie mi scivolano addosso; in fondo, un allenatore deve sempre ricordare che porta avanti il volere e gli obiettivi della società, che possono variare dal vincere al valorizzare i giovani, per poi venderli. Vincere è relativo: mi da’ molta più soddisfazione vedere giocatori che ho lanciato fare bene, come Pastore al PSG o Vucinic alla Juventus». Guardando indietro, Rossi cambierebbe qualcosa? «Non ho rimpianti: certo, forse non rifarei alcune scelte, ma è facile dirlo a posteriori. Un allenatore deve fare delle scelte e farle a posteriori è facile; oltretutto, farle significa prendersi delle responsabilità. Non vivo nemmeno di ricordi: sono un cittadino del mondo, mi porto dietro due-tre cose. Magari, a fine carriera, spunteranno delle cose e mi ricorderò che vengono da realtà che ho vissuto. Per ora, mi interessano i giocatori ed il campo e continuo a lavorare per questo, altrimenti avrei già smesso».

Il pensiero corre alla partita numero 800: «Per me c’è solo il presente. Il mio pensiero non è la prossima partita, ma il prossimo allenamento. Ogni cosa che interrompe il quotidiano è un’anomalia; adesso l’unica mia preoccupazione è quella di preparare la gara delicata di sabato prossimo, per altro senza i nazionali». Riceverà qualche messaggio per le sue 700 panchine: «Non mi aspetto nulla: sono rimasto in contatto con alcuni giocatori, ma perché lo volevano loro. Gattuso, Peruzzi, per esempio; ma anche quelli del Torre Maggiore, la prima squadra che ho allenato in Promozione: vincemmo il campionato e mi regalarono uno Swatch da 50.000 lire. Ma io non sono uno di quelli che coltiva i rapporti. Un esempio è il mio vice, Fedele Limone: l’ho chiamato dopo 15 anni che non ci sentivamo e gli ho detto: «Vuoi venire a fare il mio vice alla Samp?». Qualcuno potrebbe prenderti per matto. Meno male che ha accettato: ci capiamo con uno sguardo».

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