Sampdoria, parla l'ex ds: «Ciclo Mantovani ripetibile. Ci sono i talenti»
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Sampdoria, parla l’ex ds: «Ciclo Mantovani ripetibile. Vi svelo due acquisti sfumati»

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Il primo direttore sportivo scelto da Mantovani racconta il passato della Sampdoria: le rivelazioni di Claudio Nassi a Repubblica

Claudio Nassi, primo direttore sportivo scelto dal Paolo Mantovani per la Sampdoria, ricorda gli anni in blucerchiato: le sue dichiarazioni a Repubblica. 

PRIMO INCONTRO – «Ricordo un carisma straordinario. L’obiettivo era tornare in A e continuare a vincere. Il primo compito del direttore sportivo è allenare il presidente e cominciai a spiegargli com’era il mondo del calcio. Fu Facile, capiva al volo. L’obiettivo era cercare i migliori prospetti in C e B, dovevamo essere forti sul piano fisico, veloci e non offrire punti di riferimento in attacco».

ADDIO – «Lasciati il 30 giugno 1982, dopo aver chiuso la trattativa di Mancini, che aveva richieste da Juventus e Udinese. Lavoravo 18 ore al giorno, ero esausto. Mantovani mi suggerì di fare una vacanza alle Seychelles e poi di tornare al mio posto, ma capì che ero deciso e così accetto. Gli suggerii anche il mio successore, Paolo Borea».

MANTOVANI – «Il presidente aveva capito tutto, devi lavorare su tutti i piani per avere quanto dovuto, sono fondamentali i rapporti. I vertici del calcio italiano, Nizzola e Matarrese, lo contattavano prima di ogni decisione. Era importante quanto la squadra in campo. Il calcio è fatto da dettagli, bisogna essere sul pezzo. Niente era lasciato al caso».

SALSANO E PELLEGRINI – «Faustinho era il figlio del custode del campo di Cava dei Tirreni. Un talento furo. Pellegrini era nazionale di Serie B a sedici anni. Bravo ragazzo e ottima famiglia».

VIERCHOWOD, GALIA, FUSI E MANNINI – «Il ds Cecco Lamberti era un amico, voleva aiutarmi. Pietro lo scovai nel 1976 a livello giovanile. Sembrava ormai destinato all’Inter per novecento milioni, ma riuscimmo a convincere il presidente Gattei con 1.3 miliardi e la promessa di lasciarlo un altro anno, in modo da non far arrabbiare il mister Marchioro. Per Galia andammo a Lugano per chiudere il giorno dopo la fine del campionato. Mantovani disse che aveva dieci relazioni negative su undici, l’ultima il giorno prima a Modena, ma si fidava del mio parere. Roberto era instancabile, non smetteva mai di correre. La trattativa fu chiusa per due miliardi.  Bersellini voleva fusi a tutti i costi e Mantovani si era ormai impegnato, anche se ero contrario perché avevamo Pari. Così gli chiesi di prendere anche Moreno, di cui mi aveva parlato molto bene “Vulcano” Bianchi, suo presidente ai tempi del Forlì. Il presidente fece un capolavoro e riuscì ad averlo in cambio di Guerrini».

PARI – «Fausto lo vici personalmente due volte con il Parma. Interditore di grande corsa, era anche un ragazzo veramente in gamba».

VIALLI E LOMBARDO – «Il presidente Luzzara doveva rientrare economicamente, ma voleva tenere il suo gioiello per un anno. Ero scettivo, considerando i rapporti privilegiati con la Juventus, ma fui informato che Boniperti aveva finito i soldi per prendere Penzo. Chiamai il presidente, organizzò l’incontro e chiuse a una cifra leggermente superiore a quella pattuita. In quel modo mise anche le premesse per prendere Attilio».

AFFARI SFUMATI – «Nel 1990 Mantovani aveva in mano Redondo. Nella notte, però, cambiò tutto. Vialli e Mancini lo convinsero che era lento e così arrivò Mikhailichenko. Otto anni prima poteva arrivare Robson, uno dei migliori cinque centrocampisti al mondo, grande amico di Francis. Il presidente optò per Brady, per fare una cortesia all’avvocato Agnelli, e non lo prese per 5.4 miliardi dal Manchester United. C’era tanta concorrenza, la Juventus mi fregò Bonini del Cesena e non parlai a Boniperti per quattro anni».

CICLO MANTOVANI – «È ripetibile, non credo manchino i giovani interessanti. Basta saperli scegliere».

COME FUNZIONAVA LA SAMPDORIA – «Eravamo pochi. Lavoravo da solo, 18 ore al giorno, dalle sette alla notte all’1. Al mio fianco solo il segretario Mario Rebuffa ed il ragionier Traverso. Parlava solo il presidente. Questo non mi portò grandi simpatie, ma nel calcio si va avanti con la democrazia totalitaria oppure con il totalitarismo democratico».

ERRORE – «L’addio è diventato un grande rimpianto. La Sampdoria avrebbe avuto anche Baggio, Berti, Redondo, Van BAsten. Sarebbe stata dura per tuti battere una squadra così, poteva essere la più forte d’Europa».

ULTIMO RICORDO DI MANTOVANI – «Era ricoverato al Galliera, in cardiologia. Stava molto male. È mancato pochi giorni dopo. Sono legatissimo alla famiglia, ho vissuto un periodo eccezionale. Nelle società l’unico insostituibile è il presidente, gli altri devono solo pensare a fare meno errori possibile».

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