Soriano: «Con Mihajlovic è cambiato tutto. Ferrero ha portato entusiasmo e idee» - Samp News 24
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2014

Soriano: «Con Mihajlovic è cambiato tutto. Ferrero ha portato entusiasmo e idee»

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«Il mister mi disse: «Mi è bastato un minuto per capire che giocatore sei. Fai quello che ti dico, gioca senza paura e non te ne pentirai».». Queste le parole di un estasiato Sinisa Mihajlovic quando incontrò nelle prime giornate blucerchiate Robero Soriano. Oggi l’italo-tedesco è una delle stelle della Samp terza in classifica. Tutto cominciò dal padre, partito per la Germania: «All’inizio partì mio nonno, suo padre, poi uno zio, suo fratello, che aprì un chiosco di frutta. E proprio lui lo chiamò perché lo raggiungesse. Papà oggi lavora all’aeroporto di Darmstadt, dove sono nato e dove tornerò a fine carriera perché là ho la famiglia, genitori e due fratelli più grandi. Michele, il maggiore, fino a 6-7 anni era un ballerino professionista».

FAMIGLIA – Ci si chiede se Roberto ci abbia mai provato: «Diciamo che, a forza di vedere lui, certi ritmi mi sono entrati dentro. Ma a me piace inventarli i passi». L’altro fratello è un calciatore anch’egli: «Elia gioca a calcio come. Nella seconda squadra di Stoccarda, C1 tedesca». Roberto cominciò come molti ragazzi: «Giocando con loro in un boschetto vicino casa. Il ballerino lo mettevamo in porta. Avevo 8-9 anni quando entrai in una squadra del quartiere; a 10 mi hanno preso nelle giovanili del Darmstadt ’98, il club della città che oggi è in Serie D. Sono rimasto fino a 14 anni, quando venni chiamato dal Bayern – racconta Soriano a SportWeek, magazine de “La Gazzetta dello Sport” -. Mi avevano visto in un torneo tra rappresentative regionali, dopo un paio di giorni chiamarono i miei».

BAYERN UBER ALLES – Le reazioni furono diverse tra i due genitori: «Papà entusiasta, mamma molto meno. Diceva: per come è fatto Roberto, così attaccato a noi, dopo due mesi torna a casa». Ma le cose non andarono così…: «A Monaco mi sono ritrovato in un convitto che pareva un albergo a cinque stelle. La mattina si andava a scuola, il pomeriggio dopo l’allenamento c’erano dei prof messi a disposizione dalla società che ti aiutavano con i compiti. Sopratutto a 15-16 anni avevo la possibilità di allenarmi con la seconda squadra del Bayern, dove già si vedeva gente forte che sarebbe salita fino alla prima». Tra questi, nomi famosi: «Muller, Kroos, Alaba, Badstuber… eravamo 13 in tutto».

IO SONO ITALIANO – Magari è rimasto in contatto con qualcuno di loro: «Secondo me, non ricondano neanche che esiste (ride, ndr). L’unico che ho frequentato per un po’ è stato Alaba. E poi Sansone, che oggi è al Sassuolo, e Contento, ancora al Bayern: terroni d’origine come me». Soriano ha sempre rifiutato i tedeschi e le loro convocazioni: «Troppo diversi. A me piace ridere, scherzare, stare in compagnia. I tedeschi sono come vengono dipinti: chiusi, inquadrati, seriosi. Ecco perché non mi sono mai sentito uno di loro e perché, quando il selezionatore dell’Under 16 tedesca mi consigliò di fare il passaporto per poter esser convocato, risposi di no. Io sono italiano. Non ho mai avuto problemi, mai un atto di razzismo contro. A scuola i miei amici sono stati sempre marocchini, turchi. Sono come gli italiani: gli piace fare casino».

RIMPIANTO BAVARESE – Forse è successo anche che lo stesso Soriano qualche volta ne facesse troppo…: «Ci ha pensato mio padre a stopparmi per tempo. Sapeva chi frequentavo e che qualcuno era finito in qualche rissa. Mi ha marcato stretto, specie quando ho iniziato a fare calcio». C’era chi – al convitto del Bayern – era dato come sicura stella: «Quello sul quale avrei scommesso era Kroos: talento pazzesco e con testa da adulto già da ragazzo. Muller, invece, sarà migliorato tanto crescendo, perché all’epoca come lui ce ne erano tanti». Soriano ha sperato di restare al Bayern: «A chi non piacerebbe? Tanto che, quando arrivò la chiamata della Samp, ero dubbio se accettare o no, perché stavo per diventare finalmente professionista. Ma alla Samp avevo la garanzia di far parte della prima squadra».

ITALIA E SAMP – Riabituarsi all’Italia non è stato facile: «In Germania si fa meno tattica e più possesso palla, quindi da questo punto di vista dico che qui ho imparato parecchio. Fuori dal campo il problema è stato la lingua: in Germania parlavo tedesco fuori e dialetto in casa. Per mesi non ho voluto dare interviste: mi vergognavo troppo». La Samp è stata difficile da conquistare: «Quando sono arrivato cinque anni fa, facevo la spola tra Primavera e prima squadra. L’allenatore è Aglietti: a fine stagione mi chiede di seguirlo a Empoli in B. Grande stagione per entrambi, ma il mio obiettivo è tornare a Genova, anche in B. Atzori non mi vede. Faccio sei mesi senza giocare, poi arriva Iachini: niente ancora. Rispetto all’altro, questo almeno però mi parla. Con lui ho giocato semifinali e finali dei play-off».

MIHA OFFENSIVO – Diverso l’approccio con Ferrara: «Inizio subito da titolare: mi schiera in attacco, ma pur di giocare… dopo nove sconfitte, in panchina arriva Delio Rossi e e di nuovo resto fuori. Anche lui diceva: «Ti stai allenando bene, continua così», poi però anche quando si faceva male uno che giocava nel mio ruolo, non entravo mai. Con Mihajlovic è cambiato tutto – ammette il centrocampista blucerchiato -. Gli piaccio perché in campo lui vuole vedere giocatori che si prendono rischi e io al Bayern facevo il trequartista: è il mio ruolo. Il mister vuole un calcio offensivo, moderno. Prima entravamo in campo con la mentalità del “non prenderle”, ora cerchiamo di costringere gli altri ad adattarsi a noi».

FERRERO E MOMENTI DIFFICILI – Molto è cambiato anche grazie alla nuova presidenza di Massimo Ferrero: «Simpatico, estroverso, ama scherzare. Ha portato entusiasmo. Tutti fanno caso ai suoi show in campo o a fine partita. Ma a noi ha fatto discorsi seri sin dal primo giorno. ha voluto sapere se siamo contenti del centro di Bogliasco, poi ha detto: voi preoccupatevi solo di giocare, al resto penso io. E sta mantenendo la parola: ha tante idee». Soriano ha parlato di come gli piace scherzare anche nei momenti bui: «La mia forza è stata proprio questa: non mi sono mai buttato già. I miei amici in Gemrnia me lo ripetono sempre: comunque ti vada, ricordati che tu giochi a calcio e noi lavoriamo in fabbrica».

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