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Giampaolo a tutto tondo: «Tempo e giovani: vi racconto la mia idea di calcio»

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Mister Giampaolo a ruota libera sul mestiere dell’allenatore e su un calcio, quello moderno, troppo distante dal suo modo di sentire: «C’è troppa fretta, solo col tempo nascono i grandi progetti. Il calcio non è scienza, ma è arte»

Arrivato in estate per sostituire Vincenzo Montella e per progettare una rifondazione dopo la disastrosa passata stagione, Marco Giampaolo ha convinto tutto il popolo blucerchiato grazie alle prime prestazioni della sua Samp fatta di giovani e di gioco palla a terra. Poi, dopo un primo tempo ottimo giocato a Roma, quel temporale che ha costretto ad una lunga pausa le due squadre ha scombinato i piani dei blucerchiati, portando anche metaforicamente delle nuvole minacciose su tutto l’ambiente doriano: da allora, infatti, i ragazzi di Giampaolo hanno inanellato una serie di sconfitte che hanno messo a repentaglio la panchina dell’allenatore di Bellinzona. Il filotto di partite complicate inaugurato dal derby sembrava potesse essere decisivo per il tecnico, e in effetti lo è stato: Giampaolo, accaparrandosi 6 punti su 9 con le vittorie interne contro Genoa e Inter, ha rinsaldato la sua panchina e ora punta ad una continuità di risultati che finora è mancata, fondamentale in un calcio, come quello moderno, che guarda sempre meno al gioco e bada spesso al semplice dato dei punti in classifica. Di questo e di molti altri aspetti della sua vita da mister, Giampaolo ha parlato in una lunga intervista concessa al Corriere dello Sport.

TROPPA FRETTA – Un esempio tipico della frenesia tipica del calcio moderno è quello di De Boer: venuto da un calcio diverso come quello olandese, non gli è stato concesso il tempo per entrare appieno nei meccanismi nostrani: «De Boer aveva bisogno di tempo, ma in Italia il tempo non c’è. Tutto e subito. Io ho sempre parlato del tempo come il mio primo alleato, non può essere il mio primo nemico perché nella costruzione di un progetto hai bisogno di tempo, hai bisogno di far capire, di insegnare. Ci vuole tempo, non fretta. Così nascono i grandi progetti, quelli che durano nel tempo, non la bruciante velocità di una fiammata, bella e breve. La classe dirigenziale che abbia quella visione di prospettiva è rara, è più frequente quella dominata dalla costante fretta di ottenere risultati. Una specie di fast football, figlio di un tempo che tutto consuma e digerisce senza assumere il senso profondo delle cose».

LAVORO CON I GIOVANI – In estate la scelta della Samp è ricaduta su Giampaolo perché è un allenatore che sa lavorare con i giovani: «La Samp quest’anno ha cambiato molto l’organico. Abbiamo, credo, più di dieci che hanno vent’anni. Certo, non sono tutti italiani e lì penso che la differenza la faccia l’aspetto economico. Probabilmente, a parità di valore, si finisce col comprare all’estero. Spendo meno, perché l’italiano costa di più. Giovani italiani bravi? Quali vorrei allenare è un problema che non mi sono mai posto. E’ anche vero che poi il calciatore lo conosci bene solo quando lo alleni. Alcune volte hai una visione esterna di un giocatore, pensi che ti piacerebbe averlo in squadra. Poi capita che lo alleni davvero e scopri che non è come lo avevi pensato. Perché l’aspetto tecnico secondo me non è sufficiente, non conta soltanto quello. Nel calcio moderno la dimensione psicologica è decisiva. Un nome? Mi viene in mente Bernardeschi ma di giocatori di talento ce ne sono tanti. Mi piacerebbe Verdi del Bologna».

SACRO E PROFANO – Il mister blucerchiato, nonostante proponga un calcio moderno, offensivo e audace, è un tipo di persona “vecchio stampo”, che ha un modo di vedere il gioco del calcio romantico e rispettoso: «Il sacro è il calcio giocato. Il profano sono tutte quelle cose che girano attorno al calcio: gli interessi economici, il marketing, la finanza, la pubblicità sono cose importanti affinché una società sopravviva o comunque abbia la possibilità di aumentare le entrate. Importante, importantissimo fino a quando questo non va ad inficiare l’aspetto tecnico. Bisogna trovare un punto di equilibrio. Mi viene in mente il Barcellona che per anni non ha avuto lo sponsor sulle maglie. Aveva Unicef. Credo che uno sponsor tecnico sulla maglietta di Messi possa valere molto. Poi capisco anche che si debbano raccogliere risorse. Per esempio le amichevoli estive in giro per il mondo costituiscono fonti di proventi. Quindi è marketing. Ma questo è funzionale alla preparazione tecnica di una squadra di calcio. Spesso e volentieri queste cose si confondono».

MODELLI – Aristotele affermava che la filosofia nascesse dalla meraviglia, dallo stupore, dalla curiosità. Non a caso Giampaolo è sempre stato definito un esteta del calcio e un uomo dotato di una sua ben precisa filosofia, nella vita come nel lavoro. I modelli seguiti sono stati tanti, ma l’elemento fondamentale è sempre stato uno, appunto la curiosità: «Io avevo il vizio di scrivere, di allenarmi, di tornare a casa e di prendere appunti. Scrivevo tutti gli allenamenti che facevamo e non mi fermavo a questo perché volevo anche sapere il perché di quell’allenamento, il perché di quelle indicazioni tattiche, il perché di quel lavoro fisico. Quindi sono stato sempre molto curioso di sapere. Modelli? Ho seguito molto Del Neri, Spalletti, Prandelli: quelli che probabilmente ritenevo un po’ più vicini al mio modo di pensare. Il grande maestro, il grande propulsore del calcio italiano è stato Arrigo Sacchi perché ha aperto una via nuova, un modo di pensare nuovo. Quindi ho ammirato il Milan di Sacchi perché è stato rivoluzionario».

GIOIE E DOLORI: UN BILANCIO DEL MESTIERE – Indubbiamente il mestiere dell’allenatore espone chi lo esercita ad un ottovolante emotivo: si fa presto a passare dall’euforia allo sconforto per un meccanismo che si è inceppato, per la sfortuna che si accanisce o perché subentra l’appagamento. E Giampaolo lo sa bene, tanto che rilassarsi è davvero difficile per lui: «Purtroppo non riesco a godere dei momenti belli se non alla conclusione di un campionato e quindi di un risultato acquisito. Non ho la capacità di soffermarmi. Un momento bello dura poco, dura un paio d’ore e poi tutti lo dimenticano. Invece i momenti negativi li devi gestire, vivere in maniera diversa. Devi analizzarli, capirli e correggere. La cosa più bella? Il campo. Il rettangolo di gioco diventa il cielo quando con la tua squadra sviluppi un’idea, un pensiero. Cerchi di rendere un’idea astratta visibile, poi i calciatori con le loro qualità la fanno ancora meglio di come tu gliela spieghi, la migliorano sempre. Il calcio non è una scienza esatta ma è arte».

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