Zoff si racconta: «Prima del Mondiale ’82 volevo ritirarmi»
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Zoff si racconta: «Prima del Mondiale ’82 volevo ritirarmi»

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Il leggendario portiere azzurro Dino Zoff si racconta nel giorno del suo 80esimo compleanno: le sue parole

Dino Zoff, storico e leggendario portiere italiano, compie 80 anni e si è raccontato in una intervista a La Gazzetta dello Sport.

EPOCA MODERNA – «Mi sforzo di capire i giovani di oggi, ma faccio fatica. Come loro non riescono a capire la mia adolescenza, scandita dalle stagioni per giocare all’aperto. Il massimo della trasgressione era saltare in un campo per mangiare qualche frutto maturo, ma guai se papà se ne accorgeva. Dovevo subito restituire quanto preso». 

INSEGNAMENTI AI NIPOTI –«Le cose si dicono una volta, l’insegnamento poi sta nella testimonianza che dai. I ragazzi devono capirlo. A casa mia l’educazione era nell’aria. Certe cose intuivi da te che non si potevano fare. Ora si tende a proteggerli i giovani, pure troppo. Sembrano padroni del mondo con i loro strumenti tecnologici, invece temo che conoscano poco la vita reale». 

EDUCAZIONE – «Per educazione ho sempre preso più responsabilità di quelle che avevo. Sono stato autocritico, ero abituato ad avere tanti doveri, oltre i diritti». 

DELUSIONE PIU GRANDE – «La mancata convocazione con la Nazionale Juniores per l’Europeo di categoria, in Portogallo. Avevo 19 anni, giocavo nell’Udinese, e la Gazzetta aveva scritto che sarei stato chiamato. Tutto sembrava sicuro, dalla federcalcio ero stato contattato per i documenti. Feci il passaporto. Camminavo fiero a Mariano del Friuli. Poi niente convocazione e per la vergogna non uscivo più. Una lezione, poi ne ebbi una più pesante. Nel 1978 dopo il Mondiale venni massacrato. Avevo 36 anni e per via dei gol subiti dalla distanza contro Olanda e Brasile scrissero che “non ci vedevo”. Un insulto pesantissimo. Come se dicessero a un giornalista che non conosce la grammatica. Attaccato nella mia serietà professionale. Pensai di ritirarmi». 

DIMISSIONI DA C.T. – «Fu naturale. Era stata messa in discussione la mia credibilità. Nel contesto dell’ambiente nessuno difese l’onorabilità del ruolo, a quel punto capii – per la mia dignità – che non potevo ricoprire quell’incarico. E non ho rimpianti». 

MARADONA – «Non riuscì a esplodere in quel Mondiale, si capiva fosse molto forte. Il mio amico Castellini, che a Napoli faceva il preparatore dei portieri, mi raccontava come Diego facesse gol anche di spalla, in allenamento, imprimendo al pallone una potenza incredibile. Capisco come, per i napoletani di allora, oggi sia difficile andare allo stadio. Hanno visto qualcosa di unico e irripetibile in quegli anni». 

NAPOLI – «Vero, sono molto legato alla città e ho tanti amici. Ci arrivai quasi per caso, visto che sembrava stessi andando al Milan, e fu la mia fortuna. Sì a Napoli sono cambiato, mi sono tolto un po’ di quella eccessiva timidezza che sembrava scontrosità. E sono maturato. Col Napoli arrivai in Nazionale e vinsi l’Europeo del ’68 e non sarei mai andato via. Ricordo che all’inizio i miei compagni mi dicevano di salutare il pubblico all’ingresso in campo. Facevo fatica, perché mi sembrava un gesto ruffiano. La prima volta che alzai timidamente il braccio risposero con un boato fragoroso. I napoletani sanno che li ho sempre rispettati e il rapporto è rimasto intenso». 

NESSUN MARCHIO – «Non mi interessa. Nello sport devi cercare di organizzarti al meglio per vincere, con gli uomini che hai. A me non piace il possesso palla esasperato, toglie carica agonistica, diventa noioso e cambio canale. Poi non capisco quando si dice: “Ha giocato bene ma ha perso”. Certo, qualche volta può capitare, ma chi vince significa che gioca meglio. Che significa “giocar bene esteticamente” se poi perdi spesso? Vuol dire che quel gioco non funziona e devi cambiarlo». 

SERIE A ATTUALE – «La solidità dell’Inter e il percorso di Simone Inzaghi che ha creato nuovi equilibri in squadra nonostante le cessioni importanti. Attenzione però, da ora in poi contano tutti i particolari e con Milan e Napoli sarà una bella lotta». 

JUVE – «Con i rinforzi di gennaio il quarto posto diventa doveroso. E anche in Champions può fare molta strada». 

ITALIA AL MONDIALE – «Mi auguro proprio di sì. Gli azzurri devono ritrovare gli equilibri dell’Europeo, non è semplice, ma ho fiducia in Mancini». 

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