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Gli stadi di Giampaolo: «San Siro un tempio. Col Ferraris rapporto nato male»

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Giampaolo racconta la sua esperienza di stadi e descrive la sua Samp: «Si deve respirare ordine. Quando non potrò migliorare, mi farò da parte»

Domenica nel tardo pomeriggio la Sampdoria sarà attesa da una partita importante e prestigiosa, contro il Milan a “San Siro“. Gara importante per i tre punti che mette in palio, in trasferta, contro un avversario diretto per l’Europa, prestigiosa perché teatro dell’incontro sarà la cosiddetta Scala del calcio, il “Meazza” appunto. Ad enfatizzare particolarmente lo scenario del prossimo match è stato il tecnico blucerchiato Marco Giampaolo: «Il mio primo stadio è stato il campetto rionale di Giulianova – ha affermato l’allenatore doriano. Poi per me c’è stato un solo stadio di calcio, San Siro“. Ho avuto la fortuna di vincere aSan Siro“. L’ho fatto anche due volte nella stessa stagione, con la Sampdoria. E vi garantisco che è un’emozione unica. La Scala del calcio. Il tempio. Ti trasmette una sensazione straordinaria che non avevo mai provato. Perciò non sono d’accordo se qualcuno mi dice “Vai a San Siro a giocartela intanto non hai niente da perdere”. Perché la mia squadra deve vivere ogni partita con la consapevolezza di potercela fare, con l’ambizione di poter fare il risultato».

Insomma Giampaolo propugna una visione dell’impianto che ospiterà la sua Sampdoria domenica che si spinge al limite del mistico, del sacro, ma riporta poi l’attenzione sui fattori di campo: «In fondo poi quelle di “San Siro” sono partite che hanno un fascino particolare, che ti sollecitano un altro livello di attenzione, che ti danno una visibilità diversa. Questo vale per un allenatore, ma anche per i giocatori. Soprattutto per gli stranieri, la prima volta che scendono in campo a “San Siro” restano quasi impietriti, intimiditi». Il fascino della Scala del calcio deriva anche da piccoli particolari che lo contraddistinguono: «Gli spogliatoi sono piccoli, un buco. Ci si tocca con i gomiti. Quelli dell'”Allianz Stadium” invece sono grandi, dispersivi. Appositamente dispersivi. In passato ho visto quello di Torre del Greco, che è in discesa. Il “Camp Nou”? Non mi ha entusiasmato. La “Bombonera” di Buenos Aires è una vera e propria pagina di letteratura. Con il Ferraris il rapporto è nato male: lì sono retrocesso con l’Adria nel mio unico campionato di B. Non mi sono mai ripreso, di testa ho smesso proprio quel giorno di essere calciatore».

A proposito di stadi, viene naturale chiedersi a che stadio della propria crescita sia la Sampdoria di Giampaolo: «Non lo so. Però, so che cos’è. Una squadra seria. Significa che si allena e gioca con serietà. Che ha comportamenti maturi. Però il lavoro non è finito, in 3 anni ho costruito e superato tanti step. E me ne pongo di nuovi ogni giorno. Anche guardando altre partite. Gli step sono nella mia testa, se aprite la calotta li trovate lì, nel cervello. Lavoro 12 ore al giorno e lo stesso fanno i miei collaboratori, perché in meno tempo non si riesce a costruire niente di serio. Nelle mie squadre, in questa Sampdoria, si deve respirare l’ordine, la puntigliosità. Non si possono saltare step di organizzazione. Così anche i nuovi calciatori che arrivano devono capire subito dove sono capitati. E se non gli va bene – continua Giampaolo ai taccuini de Il Secolo XIXpossono cambiare squadra. Io i giocatori li annuso subito, soprattutto comprendo subito al loro livello di attitudine al lavoro».

L’obiettivo primario è comunque, in questo momento, battere il Milan a casa sua: «Violare “San Siro” è un risultato che brilla, luminoso. Perché poi il calcio italiano è il Milan, è l’Inter. Per La Samp sarà l’ennesima prova. Perché per giocare in stadi come “San Siro”, devi avere il carattere e il vissuto per sostenere certe pulsioni. Il nostro pubblico ci ha fatto vincere tante partite. Ma per coinvolgerlo, dobbiamo sempre tenerlo dalla nostra parte. Attraverso il gioco, il carattere, la determinazione, l’orgoglio, il senso di appartenenza. Anche in trasferta, anche a “San Siro”». L’obiettivo a lungo termine, invece, è quello d migliorarsi costantemente, anche a costo di farsi da parte quando si sarà capito che non si può più aiutare la squadra: «Se e quando capirò che non ci sono più i margini per migliorare, dovrò prendere una decisione. A meno che – chiude Giampaolo fra il serio e il faceto – la società non abbia deciso per me e mi abbia già esonerato prima».

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