Moron Mountain spaventò Michael Jordan, ma non Samuel Eto'o - Samp News 24
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2015

Moron Mountain spaventò Michael Jordan, ma non Samuel Eto’o

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«Diventerai la nostra stella numero uno. Dovrai firmare autografi tutto il giorno. E giocare uno contro uno con gli spettatori paganti e dovrai perdere sempre. Accetti le condizioni?».

Era il 1996, la tecnica mista oramai governava il cinema da diversi decenni, sin dai tempi di Robert Stevenson e del suo Mary Poppins, o – se vogliamo guardare in patria – dai tempi di Giuliano Cenci, che nel ’57 a Firenze anticipò Walt Disney di tre anni. Quando Joe Pitka volle provarci, quindi, non aveva altro che da cavalcare il successo di quello che avrebbe proposto: un mix tra i personaggi dei Looney Toons e gli sportivi della NBA, con l’aggiunta di un Bill Murray qui e lì. Prese vita Space Jam, che alla sua base aveva un concetto che può essere semplificato così: un despota di un pianeta alieno ha terminato le proprie attrazioni e, per far tornare i visitatori al parco divertimenti, è in cerca di qualcosa di accattivante, di affascinante. I Looney Toones, in un primo momento, Michael Jordan successivamente. E la proposta è proprio quella: autografi, stelle, sfide. Per il despota, invece, tanti soldi. 

Michael Jordan, cuore d’oro sceso nella terra dei cartoni animati per salvare i suoi idoli d’infanzia, lotta fino alla fine per non diventare un’attrazione e per sfuggire l’offerta: arriva addirittura ad allungarsi un braccio per trovare il canestro che regala la vittoria ai Looney Toones e rimanda a destinazione il despota di Moron Mountain, che rimane senza la sua attrazione preferita: il campione dell’NBA torna a casa per disputare la sua partita di baseball, sport al quale si presta sul finire della carriera agonistica, e per riabbracciare i figli guardando i cartoni animati di un tempo. Michael Jordan, sì, ma non Samuel Eto’o

Un’attrazione turistica, Samuel, che al campo d’allenamento porterà tifosi turchi dell’Antalyaspor, per scattare foto e avere autografi: 5 dollari per assistere all’allenamento e guardare Eto’o passare la palla ai suoi compagni di squadra e magari ogni tanto correre, oppure 3 dollari per avere una foto con lui o un autografo, come aveva raccontato Il Secolo XIX qualche giorno fa. Lo farà insieme a Ronaldinho, certo, entrambi ad Antalya, sulla più ripida delle scogliere della Turchia che affaccia sul mar Mediterraneo, ma diventeranno due palliativi per tifosi, per curiosi, per consumisti disposti a spendere denaro per un incontro con Eto’o, il campione del Triplete dell’Inter, il campione del tridente con Messi e Ronaldinho. Un campione che – checché ne possa dire il medium che paragona il cartone animato alla realtà – non ha mantenuto fede al suo mito, non è riuscito a eguagliare Michael Jordan.

Moron Mountain, 20 anni dopo, può finalmente dirsi soddisfatta, così come il presidente Gultekin Gencer, che nelle sembianze non ricorda moltissimo il despota di Space Jam, ma poco ci manca. Eto’o diventerà la loro stella numero uno. Dovrà firmare autografi tutto il giorno. Non giocherà uno contro uno con gli spettatori paganti e non dovrà perdere sempre. Per adesso. A Genova ce lo ricorderemo come un’ottima operazione di marketing e di comunicazione. Che, incredibilmente, ha portato l’Europa League, perché senza quel gol all’Empoli oggi ci sarebbe l’Inter al settimo posto. Per il resto di Samuel Eto’o rimarrà poco, soltanto una squadra in più nella lista di quelle dove ha giocato. 

E siamo ancora qui a dubitare di chi la nostra maglia l’ha sempre desiderata e anelata. Abbi pazienza, Antonio. 

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