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Editoriale

L’importanza degli errori avversari

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Una Samp bipolare ottiene un successo inaspettato e sorprendente approfittando degli errori degli avversari: una caratteristica nuova.

La Sampdoria, vincendo a Bergamo, ha realizzato due importantissimi traguardi: il primo ha un valore universale ed equivale all’aver reso più emozionante la corsa all’Europa League, con tre squadre appaiate a 47 punti alla ricerca dell’ultimo posto disponibile per accedere ai Preliminari di fine luglio – quelli che a Genova ricordiamo con tanto dolore e ricolleghiamo subito al Vojvodina – mentre il secondo ha una valenza molto più egoistica e lo ritroviamo nell’essere riusciti a vincere una partita sfruttando tutti i possibili errori degli avversari. Una situazione, quest’ultima, che troppo spesso quest’anno si è verificata a parti inverse, con il Doria pronto sempre a cedere il fianco in alcune situazioni e subire il gol che tagliava le gambe: stavolta, invece, a Bergamo i ruoli si sono invertiti e Caprari prima e Zapata dopo hanno approfittato di due evidenti errori difensivi dei bergamaschi. Puniti adeguatamente.

Essere mattatori non è una caratteristica di questa Sampdoria, o almeno non la principale. Eppure è accaduto e fa sorridere il fatto che questa vittoria sia maturata con diverse defezioni in campo: parlo di Barreto, che per quanto non abbia dei piedi educatissimi – come ho spesso ripetuto – è un’ottima diga in mezzo al campo, parlo di Torreira, che è indiscutibilmente uno dei registi più influenti del nostro campionato e non solo della Sampdoria, parlo di Quagliarella, che è il terzo miglior marcatore della Serie A, e parlo anche di Silvestre, una certezza difensiva che raramente è venuta meno. La panchina molto corta permane un problema importante, ma quando i subentrati riescono a non farti rimpiangere i titolari c’è poco da lamentarsi, anzi: c’è solo da autocompiacersi. Perché la partita di Andersen – che ha zittito subito i mugugni del pre-gara dei classici lamentosi da social network – è stata degna di lodi, così come quella di Capezzi, che di spazio ne ha trovato poco in questa stagione ed era alla sua prima partita da titolare in campionato (in stagione l’altra è stata contro il Pescara in Coppa Italia [4-1]). Ha funzionato praticamente tutto a Bergamo, anche e soprattutto il risultato, insperato: l’Atalanta, dopo essersi liberata degli altri due impegni – non per scelta -, aveva ripreso il suo cammino in campionato per conquistare quel posto in Europa che quest’anno tanto le è piaciuto e tanto ha onorato, e vincere con la Sampdoria, all’Atleti Azzurri d’Italia, le avrebbe concesso di staccare e di lasciare indietro una diretta concorrente. Invece adesso le tre squadre – Fiorentina compresa, in striscia positiva da cinque giornate – sono tutte lì a 47 punti, ad attendere il derby di Milano e a tifare Inter, per andare a strappare quel sesto posto al Milan che significherebbe evitare i Preliminari di fine luglio.

La vittoria di Bergamo, in chiusura, mi spinge a pormi un importante interrogativo. Se è stato possibile battere l’Atalanta, una squadra ostica e contro la quale partivamo battuti sin dal pre-gara, com’è stato possibile non riuscire a fare lo stesso con il Chievo, sabato pomeriggio? Giampaolo dice che le uniche partite sbagliate nell’ultimo periodo sono state quelle con Crotone e Inter, il che, a conti fatti, è assolutamente veritiero: ma allora perché non provare a mettere in campo la medesima cattiveria avuta con gli orobici anche con i clivensi? A distanza di tre giorni, e a pochi chilometri da Verona, è curioso assistere a una bipolarità tale, alla quale poi si fa fatica a dare una spiegazione. Non per fare gli psicanalisti, ma quanto meno per capire le problematiche di questa Sampdoria, per crescere e per migliorarsi. Perché adesso ci sono otto partite, sì, ma sabato sera ce n’è una dal valore unico e inestimabile: la supremazia cittadina, stavolta, significa continuare a restare in corsa per l’Europa League, un doppio obiettivo che non si può sbagliare.

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