Enrico Mantovani: «Sono ancora malato di Samp. Vi racconto tutto su mio padre» - Samp News 24
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2013

Enrico Mantovani: «Sono ancora malato di Samp. Vi racconto tutto su mio padre»

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Sarà tra i protagonisti, insieme al fratello Filippo e alle sorelle Francesca e Ludovica, del Mantovani Day organizzato dalla Sampdoria per celebrare il più grande presidente della sua storia, scomparso vent’anni fa. Enrico lo ricorda così: «La prima immagine che mi viene in mente di papà? Quando si commosse in uno studio tv, subito dopo aver vinto lo scudetto. Non ricordo altre lacrime versate per la Samp». 

Quando morì Paolo, fu proprio lui a prendere le redini della Sampdoria: «Non avevamo scelta. L’alternativa era portare i libri a un liquidatore.- racconta all’edizione di Genova de La Repubblica – Non avremmo mai potuto assistere allo smembramento di una creatura bellissima. Provammo in tutti i modi a cercare un compratore, ma chi avrebbe mai voluto raccogliere un testimone così ingombrante?».

Enrico Mantovani ricorda l’avvicinamento di suo padre al mondo blucerchiato: «I primi assaggi di Sampdoria a casa nostra li portò la signora Gianna, la donna che stirava le camicie di mio padre. Abitava in Scalinata Montaldo e tutte le domeniche portava noi bambini allo stadio. Papà allora diceva di essere laziale, ma solo perché era nato a Roma. Non l’avevo mai visto tifare. Poi, nel 1973, decise di entrare nella Sampdoria come addetto stampa. Lo fece quasi come hobby, era molto amico dei vertici di allora, Lolli Ghetti, Garufi, Montefiori. Ma capì presto l’ambiente: mi ricordo una brutta contestazione allo stadio, disse che non ne valeva la pena e lasciò. Nel 1979? Lì divenne tifoso. Dedizione totale alla Sampdoria, per cui nutriva un affetto molto particolare. Gli inglesi l’avrebbero definito un “control freak”, uno che curava di persona qualsiasi dettaglio. Oggi non sarebbe più possibile, ce lo vede un presidente controllare la qualità delle tute negli store ufficiali?».

Più un secondo papà che un controllore per i vari top player distintisi in quegli anni con la maglia blucerchiata: «Non mi piace usare la parola “insegnare”, diciamo che ai giocatori dava consigli continui. Matrimonio, fidanzamento, macchina nuova. Faceva anche da papà». Una frase di papà Paolo ad Enrico è rimasta ben impressa: «Beh, quella sui watussi, da presidente la feci subito mia. Disse che la Sampdoria era come una tribù di watussi, che però stava in una casa alta un metro e cinquanta. Voleva dire che stavamo vivendo al di là delle nostre possibilità. La storia gli diede ragione. Quando dichiarò che con la cessione di Vialli alla Juve aveva firmato il suo testamento, intendeva il testamento di quella Samp che vinceva tutto».

Enrico ricorda anche la sua gestione: «Purtroppo me li sono goduti poco, c’era un malessere strisciante. La cosa peggiore per noi era sentirci quasi rinfacciare la morte di nostro padre, quando eravamo i primi a soffrirne. Ma dopo tutto quello che era stata la Samp di Paolo Mantovani, era una reazione comprensibile». Con Edoardo Garrone c’è un buon rapporto: «Se ci sentiamo? Ogni tanto sì, e devo dire che il rapporto è ottimo. Il momento è difficile, dobbiamo stare uniti per far lavorare la dirigenza il meglio possibile. Il clima pesante non aiuta, lo so per esperienza». Perché, d’altronde, lui segue ancora la Samp: «Certo, spesso nella Sud con mia sorella. E continuo a farmi le trasferte».

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